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Il cartaio

Un misterioso assassino lancia una sfida alla Polizia di Roma. Risparmierà le sue potenziali vittime solo se troverà qualcuno in grado di batterlo in una partita di videopoker da giocare in Rete. Vinte le prime due partite, il killer uccide due giovani donne. Scovato un giovane campione di videopoker in una sala giochi della periferia, la Polizia crede di avere trovato l’arma per fermare l’assassino ma anche il ragazzo viene ucciso. Come faceva il giocatore di poker a sapere della sua esistenza? E soprattutto: chi fermerà la catena di omicidi?
Ancora un giallo, dopo il mediocre Nonhosonno, per l’autore di Profondo rosso. Il cartaio, spiega il regista, è un film sul male, qualcosa che non conosce mai crisi. E sulla tecnologia e il suo potere di farsi strumento del male. Purtroppo le intenzioni di Argento naufragano a causa della fragilità della sceneggiatura, scritta assieme a Franco Ferrini, a dialoghi assai poco curati e a tanti, troppi particolari che lasciano lo spettatore quantomeno perplesso. Perché il poliziotto irlandese non ha nemmeno una lieve inflessione anglosassone nel suo accento? Come è possibile che la Polizia permetta che a giocare a poker con l’assassino sia un’ispettrice che potrebbe non essersi mai seduta in vita sua al tavolo verde? Neanche Claudio Simonetti, autore di memorabili musiche per i film del regista romano, sembra particolarmente ispirato. Si salvano soltanto i suggestivi scorci di una Roma periferica e quasi mai mostrata al cinema e un Silvio Muccino a suo agio in un ruolo drammatico per lui inedito. Stefania Rocca e Liam Cunningham interpretano con mestiere il ruolo dei protagonisti ma Il cartaio rappresenta un altro passo falso nella filmografia dell’autore. (maurizio zoja)