L

La meglio gioventù

La vicenda di due fratelli, Nicola e Matteo, comincia negli anni Sessanta, periodo in cui condividono ideali e sogni, aspettative e speranze, amici e svaghi. Finché entra in scena una ragazza, Giorgia, psichicamente disturbata, con la quale si ritrovano a percorrere un viaggio che cambierà per sempre la loro vita. Mentre Nicola partirà per paesi sconosciuti e vivrà esperienze che segneranno per sempre il suo destino, Matteo deciderà di abbandonare gli studi e farsi poliziotto. Attraverso un spaccato della storia italiana si assiste all’evolversi di due vite e delle persone che vi ruotano intorno. Ma anche al racconto di una crescita che sembra non finire mai.

La meglio gioventù,
vincitore a Cannes della sezione «Un certain regard», è un romanzo popolare basato sulla storia di una famiglia medio borghese, il percorso emotivamente drammatico di due fratelli che, come tutti, vivono entusiasmi, disillusioni, lutti, gioie e sconfitte. Storia di vite che coprono un lasso di tempo di quarant’anni, dai Sessanta ai Novanta, una parte importante della storia italiana. Marco Tullio Giordana ha spesso affrontato nei suoi film il tema dei conti in sospeso, come nell’appassionato racconto del mistero dell’omicidio pasoliniano. Questa volta, anche con l’aiuto della valida sceneggiatura di Rulli e Petraglia, è riuscito a eliminare i limiti ideologici delle sue opere precedenti, rinunciando a spiegare tutto e limitandosi a suggerire con una certa abilità stilistica evoluzioni e cambiamenti cui i personaggi sono necessari come testimoni discreti e indispensabili. Tutto ciò che è superfluo al fluire del racconto viene tagliato, concentrandosi sulla verità dei volti e sull’importanza dei sentimenti. Lo spettatore si ritrova a vivere un’avventura umana in cui è facile ritrovare esperienze comuni a molti di coloro che in questo paese hanno creduto, si sono illusi, sono rimasti delusi e hanno ricominciato.
La famiglia (italiana) resta lo spazio chiuso-aperto in cui vengono risolte le incomprensioni, la convivenza con il dolore e tutte le possibili variazioni delle passioni. Giordana propone la sua «Storia d’Italia» in due atti (i cui 360 minuti scorrono in modo totalmente naturale) con una maturità di chi non riesce (o non vuole) analizzare disagi profondi ma li affronta con umana comprensione senza alcun timore di svelare anche le debolezze di coloro che spesso non riescono a integrarsi nel quotidiano. Strepitosi gli attori e strepitoso il regista nel dirigerli rivelando una visione corale di vicende che, pur non intrecciandosi, fluiscono e scorrono nel tempo vissuto-filmato. Non viene cancellata la distanza identificativa tra autore e pubblico, cosa inevitabile, ma torna in mente un vecchio e datato film che raccontava la nostalgia del «come eravamo» e la delusione-consolazione del cosa siamo diventati.
(emilia de bartolomeis)