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Mio cognato

Bari. Lungomare. Champagne e ostriche per il battesimo del figlio di Tony, detto «il professore», un assicuratore di Bari invischiato nei traffici della malavita locale. Brindisi e baci ma al cognato, Vito, viene rubata la macchina. Al suo posto viene lasciato un limone. La festa è ormai rovinata e Tony cerca di aiutare il cognato a recuperare l’automobile. Contatta tutti i suoi «amici», personaggi che vivono nel chiaroscuro della malavita, quelli che sanno o potrebbero sapere. Vito viene così catapultato in un mondo a lui sconosciuto, fatto di codici, in cui il cognato sguazza senza problemi. La ricerca va avanti tutta la notte. Ma che fine ha fatto la macchina?

Gli autori de
LaCapaGira
(David di Donatello, Nastro d’Argento e Ciak d’Oro per la migliore regia esordiente nel 2000) tornano a parlarci di Bari e del suo sottosuolo di personaggi malavitosi. Rispetto alla precedente pellicola,
Mio cognato
non è un film in dialetto ma utilizza comunque molto il barese. Il dialetto diventa una marca distintiva nel rapporto tra i due cognati. La bocca di Tony, il professore, si riempie di forme dialettali e modi di dire. Vito invece parla in italiano, e spesso viene scambiato per uno di fuori. È come se fosse sprovvisto del passe-partout per navigare in certi ambienti. Nel micro
on-the-road,
alla ricerca dell’auto rubata, Vito è come un turista, spettatore di un film mai visto. Pian piano però le due posizioni tendono ad amalgamarsi e Vito verrà sempre più trascinato dentro il mondo di Tony. Scoprirà le sue abitudini e i suoi vizi e finirà per apprezzarli e invidiarli quasi fosse un bambino desideroso di emulare un ragazzo più grande. L’Italia di
Mio cognato
aggira l’ostacolo, truffa le assicurazioni per intascare i soldi, mantiene la giovane amante. È l’Italia in cui il prestigio malavitoso regala rispetto, favori, rapporti di «vassallaggio». Sergio Rubini (Tony) e Luigi Lo Cascio (Vito) reggono gran parte del film. Il primo con gli anni sta acquistando sempre più lentezza e rughe, diventare sempre più una maschera da cinema. La sua origine pugliese lo avvantaggia e la parte sembra scritta apposta per lui. Lo Cascio invece affronta il sistema «Italia», con una bella faccia pulita. Ma anche la cornice del quadro è pregiata. La storia non annoia. Gli altri attori, molti dei quali baresi, danno colore al film. Buona anche la fotografia di un film in prevalenza un «notturno», con le figure dei due protagonisti che si stagliano tra le luci della Bari vecchia, dei ristoranti, delle luminarie per le feste religiose.
(francesco marchetti)