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L’ultima registrazione di Krapp

L’incontro tra il cineasta canadese Atom Egoyan e un testo di Samuel Beckett,
L’ultima registrazione di Krapp
, è di quelli che incuriosiscono e insieme suscitano perplessità: la ricerca beckettiana di un linguaggio il piu’ disseccato, antiquotidiano, e prediscorsivo sembrano mal sposarsi con la moltiplicazione di inutili strumenti comunicativi che affolla il cinema di Egoyan. In
L’ultima registrazione di Krapp
Egoyan tuttavia fa una scelta radicale, e di grandissima modestia: elimina tutti le marche del proprio stile, fa due lunghi passi indietro dinanzi a Beckett, e lascia tutta la scena al titanico e rinsecchito John Hurt. E al magnetofono, su cui è incisa la voce del Krapp di trent’anni prima. La voce dell’attore britannico vibra lungo le corde più distanti, lacera l’unità dello spazio scenico, lo squarcia in un’insistente tensione tra rilassamenti e contrazioni. La scena diventa interamente significante, e il fuori campo la sede del passato, o del malessere fisico di Krapp. Egoyan rifiuta di dar luogo ad altro rispetto a quella scabra parola e all’ambiente necessario a ospitarla. Fuori di esso, si stende la notte dei tempi.
(francesco pitassio)