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La tigre e il dragone

Durante la dinastia Ching, il maestro d’arti marziali Li Mu-bai affida la sua preziosa spada all’amata Yu Shu-lien. L’arma però viene trafugata e i sospetti di Shu-lien si indirizzano verso la giovane Jen, allieva segreta della criminale Jade Fox, che aspira a seguire la vita dei cavalieri erranti.
La tigre e il dragone
non sarà il miglior film d’arti marziali mai realizzato, ma di certo potrebbe passare alla Storia come la chiave di volta di un genere da troppo tempo sottovalutato, nonché come definitivo atto finale di un pregiudizio che in Occidente – e specialmente negli Usa – ha finora limitato la diffusione su larga scala di pellicole interpretate da attori con gli occhi a mandorla. Comunque lo si giudichi, il film di Ang Lee – clamoroso successo negli Stati Uniti – ha finalmente riportato il cinema d’arti marziali nel suo contesto originario. «Dal creatore dei duelli di
The Matrix
» (Yuen Woo-ping, n.d.r.), recita lo slogan del film. Proprio il film dei fratelli Wachowski aveva dimostrato tutte le potenzialità del genere, contaminato per l’occasione con un’abbondante dose di effetti speciali digitali. A capitalizzare il successo di
The Matrix
sono in seguito arrivati
Romeo deve morire
,
Charlie’s Angels
e, in minima parte,
X-Men
. Ma si è trattato sempre e solo di un saccheggio iconografico di superficie, irrimediabilmente banale. A suo modo,
La tigre e il dragone
restituisce dignità e lignaggio al genere «cinese» per eccellenza, ma piuttosto che guardare ai più recenti wuxia o gong-fu pian di Hong Kong, Lee sembra ispirarsi direttamente alle fonti letterarie di tali film: ciò gli permette di ritrovare – seppur artificialmente – la grazia dei primi capolavori di King Hu, rispetto ai quali i trampolini che consentivano agli interpreti dei vari
Dragon Inn
e
A Touch of Zen
di sfidare la forza di gravità vengono qui sostituiti dai ritrovati della moderna effettistica. In campo cinematografico, il parente più prossimo de
La tigre e il dragone
sembra invece essere
The Sword
, elegantissimo wuxia postmoderno realizzato più di vent’anni fa da Patrick Tam. I due film condividono lo stesso tema della supremazia del singolo nel mondo delle arti marziali, nonché l’oggetto-simbolo di tale contesa, ovvero una spada di pregevole foggia. Sulla base di un intreccio piuttosto elementare, Ang Lee riesce inoltre a fondere le peculiarità del melodramma cinese con la spettacolarità dei combattimenti, confezionati da Yuen Woo-ping con uno stile elegante, fluido e cristallino, aiutato – ma solo in parte – dalla grafica digitale. Il risultato, seppur edulcorato per facilitarne la fruizione a un pubblico occidentale, è decisamente affascinante e, non di rado, una vera delizia per gli occhi.
(andrea tagliacozzo)