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Tutti famosi!

Diventare famoso è una gran pena, peggio che essere licenziati, essere in bolletta o non riuscire a mantenere un equilibrio familiare sereno.
Tutti famosi!
di Dominique Deruddere non è un film originale, poiché riprende molto
Re per una notte
di Scorsese, né è – per intenderci – un grande film. Ma è una commedia intelligente, divertentissima e spietata, patetica e cinica allo stesso tempo, ben scritta e accattivante, eppure abbastanza straniante da evitare di cadere nelle trappole della carineria stile
Pane e tulipani
. Jean Vereecken è un operaio che sogna di comporre una canzone di successo, ma gli mancano la fortuna necessaria, i soldi e gli strumenti musicali per tradurre in un incisione vera e propria le melodie che crea. La frustrazione per un successo che probabilmente non arriverà mai, Jean finisce per scaricarla sulla figlia Marva, che a sua volta sogna la celebrità e tenta ripetutamente, con risultati imbarazzanti, di emergere in un concorso per imitatori, dove non si contano i sedicenti sosia di Michael Jackson, Madonna, Otis Redding o Freddy Mercury. A Jean, irritato nel vedere premiato un finto Bocelli che simula la sua cecità ed è pure stonato, non resta dunque che tentare un’impresa estrema. Approfitta dell’incontro casuale con una pop star, Debbie, la rapisce e chiede un riscatto al suo manager, Michael. Questi è un tipo decisamente spregiudicato che, accortosi della fragilità e della sostanziale ingenuità del rapitore, architetta un piano e propone a Jean uno scambio. Lui dovrà recitare fino in fondo la parte del pericoloso criminale, affidando alle telecamere di uno show televisivo l’esclusiva sul rapimento e, in cambio, Michael si incaricherà di portare alla ribalta Marva con una canzone, Lucky Manuelo, scritta dallo stesso Jean. E, siccome in questo mondo di successi effimeri e di quotidiana videodipendenza, qualsiasi star può trovare spazio, ecco che su Marva si accendono i riflettori. E, paradossalmente, toccherà anche a lei, che si sentiva irrimediabilmente brutta, goffa e priva di talento, essere imitata da altre anime disperate in cerca di gloria. Finale paradossale di questa fiaba feroce e tuttavia consolatoria, in cui il successo può arridere anche a una come Marva, come suo padre o a chiunque altro lo meriti. Il che è una regola, quando è l’audience a decretare il gusto e sono i palinsesti televisivi ad offrire la selezione per i talenti allo sbaraglio.
(anton giulio mancino)