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Nella terra di nessuno

Il cinema italiano, a riprese, torna a occuparsi di carcere speciale, di quel luogo di massima sicurezza allestito, nel periodo dell’emergenza, per segregare i condannati per reati di terrorismo e lotta armata, di mafia e di camorra. Tra i primi a raccontare quel microcosmo di violenza e prevaricazione, di ricatti e vendette quotidiane, di rivolte e pestaggi, Pasquale Squitieri che con
Gli invisibili
(1988), tratto dall’omonimo libro di Nanni Balestrini, rimase prigioniero di una lettura semplicistica, attenta più a logiche di schieramento. Di quella difficile stagione politica e sociale tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, di carcere speciale (quello ormai in disuso dell’isola di Pianosa) si occupa
Nella terra di nessuno
di Gianfranco Giagni, collaboratore di Mauro Bolognini e di Alberto Negrin, regista di programmi e serie televisive, nonché di un insolito cortometraggio
Fait divers
, interpretato da rapinatori, prostitute e avvocati di mafia nel ruolo di se stessi. Il film è tratto dal romanzo thriller
Tre giorni nella vita dell’avvocato Scalzi
, un mix di finzione e fatti reali, uscito una decina d’anni fa per la Casa Usher e scritto da un avvocato penalista, Ninò Filastò, sulla base di esperienze vissute in prima persona. Il regista rispetta il carattere giallo del libro, mettendo da parte qualsiasi riflessione sugli anni di piombo e i suoi protagonisti, un periodo con ferite ancora aperte e forse difficile da affrontare con il distacco necessario e con uno sguardo profondo, quasi storico, a quegli avvenimenti. Giagni si affida invece al racconto drammatico dell’ennesimo mistero italiano, che vede ancora una volta in azione le strutture deviate dello Stato, ricercando, con esiti alterni, atmosfere che richiamano le trame narrate da Leonardo Sciascia. Il film rievocando un passato ancora vivo nella memoria collettiva, sembra piuttosto parlare del presente, mettendo in scena le due facce del nostro Paese, le due Italie così diverse e opposte che a malapena convivono. L’avvocato Scalzi (Ben Gazzarra) con i suoi silenzi, con la sua pazienza infinita, con la sua caparbia volontà di non arrendersi è simbolo di profonda onestà e di dirittura morale. Il direttore del carcere (Gianfelice Imparato) è il suo esatto contrario: l’arroganza, l’ambiguità, la corruzione di rappresentanti delle istituzioni. Ma soprattutto è l’esemplare, il prototipo del rifiuto di uno Stato di diritto, di un penitenziario governato secondo logiche estranee alle leggi democratiche. In mezzo a pagarne le conseguenze, dopo un ciclo di inutili violenze che tornano come incubi nei sonni dei detenuti, i giovani incarcerati per terrorismo, vittime designate di una strategia pianificata, e portata a termine da manovali del crimine. Da una parte i vinti, dall’altra i vincitori, un finale amaro, senza vie di fuga. Ma la partita forse conoscerà i tempi supplementari, per merito ancora una volta dell’instancabile e resistente avvocato Scalzi. Talvolta la cronaca realistica prevale sul dramma psicologico, ma il film scorre senza grossi intoppi narrativi, grazie innanzitutto ai due validi interpreti principali, scelti dal regista Giagni che non a caso aveva pensato originariamente alla maschera intensa e sofferta di Gian Maria Volonté.
(stefano stefanutto rosa)