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Io, me & Irene

Carrey interpreta Charlie, un poliziotto del reparto ambientale che, piantato dalla moglie, va a pezzi al punto da sdoppiarsi nel trucido, volgare ed erotomane Hank. Se tralascia di imbottirsi di farmaci la sua personalità va in corto, e Hank ne combina di tutti i colori: brandisce falli di gomma, distrugge macchine distributrici di bevande in lattina, defeca sui prati e succhia latte dal seno delle giovani madri. Ricevuto l’incarico di tradurre a un altro distretto di polizia Irene (Renée Zellweger), una ragazza nel mirino di una gang criminale, le due personalità dell’agente, rimasto a corto di pasticche, si danno il cambio creando una situazione a dir poco conflittuale, poiché sia il buon Charlie sia l’incavolato Frank sono innamorati di Irene, malgrado lo dimostrino in modo molto diverso.

Dopo essere stato completamente snobbato dall’Academy Awards, che ha ignorato le sue interpretazioni in
The Truman Show
e
Man on the Moon
, Jim Carrey è tornato ai film demenziali che l’hanno reso famoso. Ma c’è una bella differenza tra
Scemo e più scemo
e questo
Io, me & Irene
, entrambi diretti in modo scatenato e sconclusionato dai fratelli Bobby e Peter Farrelly. Infatti se all’epoca di
Scemo e più scemo
si intuiva come Jim Carrey fosse un grandissimo attore sottoutilizzato, oggi tutti gli riconoscono straordinarie doti recitative. Ed è per questo motivo che ora
Io, me & Irene
appare, tutto sommato, un insulto al suo straordinario talento. Per Carrey, il film dei fratelli Farrelly costituisce un atto di regressione, oppure – a voler essere generosi – un (innocuo) sberleffo verso chi per ben due volte lo ha vergognosamente escluso dalle nomination per gli Oscar. Jim Carrey ha buon gioco nell’alternare due personaggi antitetici in questa nuova parabola sulla schizofrenia, che aggiorna – come gia fece Jerry Lewis – quella classica del dottor Jekyll e di Mr. Hyde. Ciò nonostante il film procede a strattoni e non fa neppure tanto ridere: i Farrelly sembrano la brutta copia dei fratelli Zucker (le serie
L’aereo più pazzo del mondo
e
Una pallottola spuntata
), incapaci di tenere un ritmo sufficientemente sostenuto da nascondere le magagne narrative e comunque privi di un’autentica vena anarcoide e irrazionale. Come già in
Tutti pazzi per Mary
, attingono tanto al repertorio della commedia bizzarra quanto a quello del comico demenziale, con risultati ogni volta ibridi e farraginosi. Manca loro il senso sublime della volgarità e della trasgressione e soprattutto il tocco d’autore, che fa la differenza tra un film e un collage di gag. E l’insuperabile Jim Carrey finisce per sembrare il motore di una Ferrari montato sotto il cofano di una modestissima giardinetta.
(anton giulio mancino)