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Fast Food, Fast Women

Bella lavora come cameriera in un caffè di Manhattan. Da troppo tempo trascina una relazione con un uomo sposato; casualmente conosce Bruno, un tassista che sta per divorziare, padre di due bambini. Per timore di perdere nuovamente il controllo della situazione, dichiara di non amare i bambini. Bruno batte deluso in ritirata. Bella però si pente e decide di rintracciarlo. Intanto, nel caffè, è testimone dei tentativi del vedovo Paul di conquistare l’anziana Emily e dell’infatuazione del pensionato Seymour per una stripteaseuse. Acclamato dalla critica francese per il severo
Sue
(il suo unico lavoro realmente interessante), Amos Kollek – regista dalla filmografia a dir poco discontinua, che vanta anche perle come
Forever Lulu
e
Whore 2
– tenta consapevolmente di porsi come erede di un certo romanticismo minimale e paracassavetesiano che però, inevitalmente, induce il sospetto del più usurato manierismo indie. Personaggi svagati, un deambulare vagamente nouvelle vague per le strade di New York e una galleria di caratteristi doc, sono gli elementi intorno ai quali Kollek costruisce la sua storia. Eppure, nonostante il tono volutamente naif da fiaba metropolitana,
Fast Food, Fast Women
fatica a trovare quella leggerezza che invece le situazioni narrative vorrebbero evocare a tutti i costi.

Così com’è, il film non solo è un nettissimo passo indietro rispetto a
Sue
(nonostante la sempre immensa Anna Thomson), ma conferma anche la notevole dose di opportunismo che ispira l’agire di Kollek. Infatti il tutto rimanda più alle sciocchezze di un qualsiasi Tom DiCillo (compreso il finale di sapore surreale e felliniano, con tanto di zoo all’aperto) che alla sofferta partecipazione umana e morale di un Cassavetes alla vita dei suoi personaggi.
(giona a. nazzaro)