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Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti

Una trotterellante Cappucetto Rosso giunge alla casa della nonna, nel fitto del bosco. Ad attenderla non trova però l’anziana parente, ma – indovinate un po’ – il lupo cattivo travestito (neanche tanto bene). Dopo le domande di rito sulle dimensioni degli occhi, delle mani e della bocca, la belva passa all’azione, aggredendo Cappuccetto. Ma le cose si fanno piuttosto complicate: dal ripostiglio sbuca fuori la nonna, legata come un salame, ed entra in scena pure un corpulento spaccalegna, che brandendo un’ascia affilata lancia il suo barbarico grido di battaglia. Interviene la polizia del bosco. Che vuole vederci chiaro: la strana situazione creatasi in casa della nonna è davvero frutto del caso, o forse è legata alla guerra per il controllo del commercio di dolciumi? L’indagine è affidata al burbero capo della polizia, l’orso Grizzly, e al detective Nicky Zampe, un Hercule Poirot in versione verdastra e gracidante.
Senza essere un capolavoro, Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti è una piccola perla di divertimento, pure intelligente (ammesso che la cosa importi a chicchessia). Il film ruota intorno alle testimonianze dei quattro protagonisti/indiziati, tutti presenti nel breve antefatto: Cappuccetto Rosso – «Rossa», per gli amici – la nonna, il lupo e lo spaccalegna. Ognuno fornisce la sua versione dei fatti, in forma di flashback che presto iniziano a incastrarsi l’uno dentro l’altro come pezzi di un unico puzzle: niente di particolarmente complesso, ma abbastanza da suscitare l’interesse anche del pubblico adulto.
Anche se firmato Cory Edwards (alla sua prima prova d’animazione dopo il debutto cinematografico con Chillicothe, presentato al Sundance nel 1999) il film è in realtà un’opera a sei mani, visto il fondamentale contributo dato da Tony Leech e dal fratello di Cory, Todd, in qualità di sceneggiatore. I tre lavorano sulla decostruzione di una favola classica, giocando sullo scontro tra le atmosfere fiabesche e quelle tipiche del poliziesco hollywoodiano: una buona base su cui innestare una serie di situazioni al limite del paradosso.
La parte del leone la fa la sceneggiatura, brillante e sottile, purtroppo un po’ a detrimento delle gag puramente visive, presenti in numero sufficiente ma certamente non abbondanti. Rimane comunque un piacere vedere un prodotto che non fa della citazione parodistica la sua unica forza (pur se si tratta di un elemento fondante).
La realizzazione è ottima dal punto di vista tecnico, pur non essendo al top per quanto riguarda l’animazione digitale; d’altronde, non si tratta di una produzione multimiliardaria, appannaggio esclusivo di giganti come Disney e Dreamworks. La storia della sua realizzazione è interessante: per ridurre i costi, i produttori hanno fatto animare il film nelle Filippine, e si sono rivolti a un team indiano per realizzare l’illuminazione. Una pellicola davvero global, si potrebbe dire.
Le canzoni, sempre orecchiabili e divertenti, con una menzione speciale per quelle interpretate dallo spaccalegna, sono state scritte e musicate dagli stessi fratelli Edwards. Le voci originali, fra cui spiccavano i nomi di Chazz Palminteri, Glenn Close, Jim Belushi e Xzibit, sono state sostituite nella versione italiana non da «vip» dello spettacolo raccolti qua e là un po’ a casaccio (qualcuno ricorda Dj Francesco che doppiava il protagonista dell’ottimo Robots di Chris Wedge?), ma da doppiatori professionisti. Tutto sommato, meglio così. (michele serra)