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Brucio nel vento

Tobias Horvath vive un villaggio senza nome in un paese senza importanza, all’Est. È figlio della prostituta del paese e suo padre è il suo maestro. Quando lo scopre decide di ucciderlo e poi scappa in Svizzera. Cambia nome, cerca di cancellare la sua vita precedente, ma dopo quindici anni in fabbrica la sua vita presente è ancora peggio: «Oggi ricomincio la corsa idiota. Mi alzo alle cinque di mattina, mi lavo, mi faccio la barba, salgo sull’autobus, chiudo gli occhi e tutto l’orrore della mia vita presente mi assale». Cerca una donna che non conosce e tutte quelle che incontra non sono all’altezza di quel sogno, di quell’idea. Un giorno quest’idea si materializza e così può amare a pieno, ma un amore impossibile. Tobias, però, non vuole arrendersi. Dopo il grande successo di critica e pubblico di
Pane e tulipani
, Silvio Soldini si cimenta in un genere che ancora non conosceva, il melodramma. In
Brucio nel vento
il regista fa interagire tre lingue: italiano, francese e ceco. Complesso il gioco di doppiaggio per fare coesistere la presa diretta dalla post-produzione, ma che rende un risultato perfetto. Un film dal ritmo lento, ma con una narrazione chiara, nonostante i flashback e gli inserti degli incubi del protagonista. Pulito, lineare, senza pasticci o scivoloni barocchi. Lo stile di Soldini si vede tutto e anche se non è facile come
Pane e tulipani
si spera che ottenga lo stesso successo.
(andrea amato)