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Elephant

È una normale giornata d’autunno a Portland nell’Oregon. Passeggiando in un parco, Eli convince due punk a posare per delle fotografie. Nate, dopo il quotidiano allenamento di football, si dirige verso un caffè per pranzare con Carrie, la sua ragazza. John lascia le chiavi dell’automobile del padre nell’ufficio della scuola affinché il fratello, dopo le lezioni, possa passare a ritirarle. Nella caffetteria vicino alla scuola, tre liceali sparlano delle proprie madri e della loro irritante capacità di impicciarsi delle loro vite. All’interno dell’istituto la vita procede come sempre, sino a quando, all’improvviso, qualcosa sconvolge la normalità. È un allarme fatto di violenza e morte…
«Come non accorgersi della presenza di un elefante in salotto?». È questa la domanda che Gus Van Sant si è posto dopo aver deciso di raccontare l’inspiegabile tragedia avvenuta nel 1999 a Colombine, la stessa strage raccontata da Bowling A Colombine (2002), il documentario di Michael Moore. Palma d’Oro per la migliore regia all’ultimo festival di Cannes, Elephant è la messinscena, fredda e distaccata come quella di un videogame, di un dramma raccontato nella sua «normalità», quello di due studenti che aprirono il fuoco suoi loro compagni. Nella parte iniziale del film, lo spettatore entra in contatto con una realtà apparentemente tranquilla. La tensione comincia però a montare già nella scelta delle situazioni raccontate, talmente normali da risultare inquietanti. L’inquietudine continua a salire, e raggiunge il culmine nella tragedia annunciata che si trasforma a poco a poco in allucinazione. Ma il tono recitativo non cambia. Le vittime e i carnefici non sembrano poi così diversi. E la scelta di Van Sant è efficace, perché sembra essere davvero l’unica adatta ad definire lucidamente (e paradossalmente) la follia e l’irrazionalità. Non ci sono accuse né giustificazioni morali per i due protagonisti. Non esiste alibi che possa scusarli. Ma non esiste neanche una vera causa scatenante della follia. Elephant è il racconto di una crisi che sfocia nella violenza, la narrazione di una tragedia libera da ogni giudizio morale. Fra quelli in circolazione, il film più efficace sulla realtà sociale degli Stati Uniti. (emilia de bartolomeis)