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Viaggio a Kandahar

Nasfas è un’afghana, trapiantata in Canada dove fa la giornalista. A casa, a Kandahar, è rimasta la sorella. Che ha perso le gambe, disintegrate da una bomba. Che ha perso la speranza e minaccia di suicidarsi nella notte dell’ultima eclissi del ventesimo secolo. Nasfas ha pochi giorni per raggiungere la città e cercare di salvarla. Dall’Iran prende un elicottero, oltre il confine cerca un modo per salvare la sorella. Il tempo stringe. Si accoda a una famiglia su una specie di Ape car, che viene derubata; poi a un ragazzino furbo ma dalle intenzioni poco chiare, poi a un medico, poi a gruppo di donne (ma dietro il burka si nasconde di tutto) che al seguito di un corteo matrimoniale vanno a Kandahar… E intanto attraversa la sua terra in guerra sotto il dominio dei talebani. Con le madrasse dove i bambini vengono su col kalashnikov in mano e i versetti del Corano sulle labbra, con gli ospedali da campo dove si aspettano dal cielo le protesi (lanciate con il paracadute dagli aerei), con le bambine che imparano a riconoscere le bamboline-bombe, con i medici che visitano le pazienti guardando solo attraverso un buco in un telo e senza mai rivolgere loro la parola, con quelle infinite dune del deserto… Nasfas, che ha registrato i suoi pensieri e le voci del suo Paese su un mini registratore che farà ascoltare alla sorella, arriva alle porte della città. Non si sa se riuscirà a raggiungere la donna. Non si sa se riuscirà a salvarla. Ma non è importante che l’evento atteso per tutta la durata del film si verifichi… La salvezza di quella donna solo evocata è secondaria. Perché è il viaggio il protagonista di questo film, un viaggio attraverso una terra dimenticata, violata, dilaniata. Con la morte, gli espedienti, i colori dei burka, la prospettiva dell’occhio nascosto dal burka, le stampelle rudimentali, la fame, la miseria, l’intolleranza, i talebani che predicano la violenza, la speranza della libertà… Un film-documentario, un film politico del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf di grandissima efficacia; di indimenticabili immagini; di lirismo e di denuncia; di orribili verità. Ma sono verità che, dopo l’11 settembre, abbiamo imparato a conoscere giorno dopo giorno. Eppure, un pugno nello stomaco.