The Blues: dal Mali al Mississippi
Corey Harris è un giovane bluesman. Che va alla ricerca delle origini della sua musica, dei suoi significati, della sua anima. E così accompagna lo spettatore e il regista Martin Scorsese in un viaggio alle radici del blues. Dall’America del Mississippi, con i suoi locali, con i suoi vecchi musicisti, con la sua gente, fino all’Africa Occidentale, al Mali, alle sponde del Niger. Dove la musica è nata. Ogni incontro è una scoperta, una confessione, un ricordo, una filosofia di vita dei grandi bluesman, da Son House a Taj Mahal, Sam Carr, Othar Turner… E tornano indietro ai tempi in cui gli uomini suonavano e cantavano perché quella musica faceva dimenticare il duro lavoro, la fame, la fatica, la disperazione. Cantavano le donne, l’amore, la vita… Perché era l’unico modo per sperare in un futuro migliore. Con una musica che nasceva dall’anima. Che era la loro cultura. Che nessuna schiavitù ha potuto cancellare, inquinare, contaminare. «La musica è l’unica cosa che nessuno può togliere alla gente di colore». C’è la disperazione della traversata dell’Oceano, c’è l’orgoglio delle proprie origini («Non esistono neri americani, esistono neri in America»), c’è la gioia di aver trasmesso quella musica aqualcun altro. Ecco gli omaggi ai grandi che non ci sono più come Muddy Waters e John Lee Hooker e ad Alan Lomax, che negli anni Trenta cominciò con dedizione e passione a ricercare e conservare registrazioni di quella musica. E poi gli incontri con Salif Keita e Alì Farka Touré, in Africa. Le immagini delle interviste si alternano a materiale d’archivio.
Il film di Martin Scorsese è un documentario che fa parte del colossale progetto americano «The Blues», promosso e finanziato dal Senato Usa che ha decretato il 2003 «anno del Blues». A cento anni esatti da quando venne coniato il termine «blues». Sette film coordinati dallo stesso Scorsese (autore del primo della serie) con altri grandi registi, Wim Wenders, Mike Figgis, Marc Levin, Clint Eastwood, Charles Burnett e Richard Pearce. «È affascinante ascoltare i collegamenti tra la musica africana e quella americana, vedere come le influenze viaggiano in entrambe le direzioni, avanti ed indietro attraverso il tempo e lo spazio», ha detto Scorsese. Che ha aggiunto: «Il senso della continuità e della trasformazione nel blues, il modo in cui passato, presente e futuro sono uniti in un’unica entità, dinamica e creativa, non smette mai di stupirmi». E ancora: «Alla gente piace pensare ai grandi cantanti blues come a degli istintivi, con talento e genio che scorrono sulle punte delle dita. Ma John Lee Hooker, Bessie Smith, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Blind Lemon Jefferson, e così tanti altri talenti stupefacenti, sono alcuni dei più grandi artisti che l’America abbia mai avuto. Quando ascolti Lead Belly, o Son House, o Robert Johnson, o John Lee Hooker, o Charles Patton, o Muddy Waters, ti senti scosso, il cuore ti batte, ti senti trasportato e ispirato dall’energia viscerale, ed è una verità emotiva solida come la roccia. Vai dritto al cuore di ciò che c’è di umano, la condizione di essere umano. Ecco cosa è il Blues». Il film è stato presentato alla mostra del cinema di Venezia.
(d.c.i.)