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Mones com la Becky (Monos como Becky)

Sembra una storia inventata, surreale, inquietante. In realtà – e ce ne accorgiamo solo nel corso del film – il professor Egas Moniz, vincitore nel 1974 del premio Nobel per l’invenzione della lobotomia, è esistito davvero, come dimostra l’effige austera e fiera apposta sulle banconote portoghesi.
Mones com la Becky
, diretto a quattro mani da Joaquim Jorda, esponente di punta negli anni ’60 della nouvelle vague portoghese, e da Nuria Villazan, è una docu-fiction incentrata su questo sinistro neurologo, le cui pratiche segnarono indelebilmente l’esistenza di molti pazienti. Moniz aveva apprezzato a tal punto l’esperimento del biologo americano Fulton, che aveva proceduto all’ablazione del lobulo centrale del cervello a una scimpanzè di nome Becky, da decidere di praticare questo genere di intervento sui pazienti schizofrenici.
Mones com la Becky
parte dalla ricostruzione dell’esistenza e della carriera di questo moderno criminale, per seguire passo passo un gruppo di pazienti schizofrenici che si apprestano a metterla in scena. In passato hanno tutti subito la lobotomia moniziana (denominata «leucotomia»), dall’attore principale allo stesso regista Joaquim Jorda, che descrive l’operazione come un passaggio dalla condizione del biblico Saul, acceso avversario dei cristiani, al pacato Paolo, amico dei cristiani. Ovviamente l’asse narrativo e documentario del film è anche un pretesto per riflettere sui confini istituzionali e morali tra normalità e follia, nonché sulla doppia accezione del termine «vita», che in italiano è unico, ma che in greco si scinde in «zoe» e «bios» e riflette lo scarto che intercorre sulla sopravvivenza a lungo termine e l’esistenza piena. Ed è dunque un’indagine a largo raggio sull’uso da parte del potere di pratiche neurologiche in grado di ridurre ad uno stato vegetale individui potenzialmente sovversivi o incontrollabili, sulla valenza essenzialmente politica e totalitaria di un sapere scientifico che pretende di curare, di estirpare clinicamente il dolore e il disagio come se fossero comuni malattie. Vedere questo film-saggio, lasciarsi catturare da una sorta di affabulazione ironica e straniante, stratificata e densa come un ipertesto e in grado di restituire una visione problematica della psichiatria, è come leggere per la prima volta
La nascita della clinica
o
La storia della follia
di Foucault o gli studi di Basaglia. E non stiamo esagerando.
(anton giulio mancino)