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Lunedì mattina

Vincent è un saldatore in una fabbrica di prodotti chimici e ha una vita monotona fatta di piccole routine: sveglia, cibo alle galline, macchina, stazione, autobus, fabbrica, casa, cena, figli, pittura e lavoretti in casa. Il tutto scandito dall’uso di zoccoli, indossati anche solo per pochi passi. L’unica soddisfazione sono le sigarette, ma anche questa piccola gioia sembra essere disturbata da regole sociali. Quando Vincent è in fabbrica, la vita nel villaggio della campagna francese non è molto diversa, ma anche piccoli eventi riescono a cambiare il corso di giornate apparentemente tutte uguali. L’arrivo di un gruppo di zingari, un giro in macchina, una litigata… Un bel giorno Vincent decide di spezzare questo ritmo infernale non entrando in fabbrica, non spegnendo la sigaretta sul cancello. Va in città a trovare suo padre e da lì parte per un viaggio, di cui Venezia è solo la prima tappa. Premiato con l’Orso d’Argento per la migliore regia all’ultimo Festival di Berlino, Lunedì mattina è un film di poche parole. Uno degli aspetti più sorprendenti di questa pellicola è che riesce a «sorprendere», realizzando ciò che uno non si aspetta. Come ha precisato lo stesso Iosseliani, Lunedì mattina è una parabola sul malessere della solitudine, su dinamiche sociali trasversali, che vanno al di là della propria condizione economica, ma che si trovano ovunque. La monotonia della propria vita, occupata per la maggior parte dalle ore di lavoro, aliena l’uomo, rendendolo solo anche al suo ritorno a casa. La moglie e i figli diventano a poco a poco degli estranei. La fuga, la speranza di trovare altrove ciò che non si trova nel quotidiano, in realtà è solo una finzione. La solitudine è in noi stessi. Non è un mattone, anzi, ci sono trovate surreali e ironiche, assurdità che strappano sorrisi inaspettati. Momenti di delirio comico che alleggeriscono, fortunatamente, il ritmo della narrazione. Orso d’Oro alla regia a Berlino (andrea amato)