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Lagaan. C’era una volta in India

È il 1893. In un villaggio dell’India centrale, Champaner, non piove, nonostante la stagione delle piogge sia già cominciata da un mese. E non aveva piovuto nemmeno l’anno prima. Non bastasse questa sciagura, l’arrogante governatore britannico della regione decide di raddoppiare le tasse (lagaan, appunto) al marajah. Il quale le raddoppia ai contadini. I quali, a loro volta, vanno a protestare. Ma tutto quello che ottengono è un ultimatum-beffa da parte del capriccioso capitano inglese. «Faremo una partita a cricket. Se vincerete voi – dice beffardo ai contadini indiani – non pagherete le tasse per tre anni in tutta la provincia; se vinceremo noi, invece, le tasse saranno triplicate». Bhuvan, giovane di un certo carisma nel villaggio, accetta la sfida. E diventa, con qualche perplessità iniziale da parte dei compaesani, il capitano della squadra. Comincia una lunga preparazione al match, di cui peraltro i contadini non conoscono le regole. Li soccorrerà la bella sorella del capitano. Si allenano tagliando la legna, inseguendo le galline, scalando i gradini del tempio… Fino a quando arriva il momento della partita, che durerà tre giorni…

Lagaan
è un kolossal di Bollywood. Girato in sei mesi – dopo altri tre necessari per ricostruire il villaggio, tempio compreso – nel Gujarat (con qualche problema per prendere in affitto i 37 ettari di territorio vicino a Bhuj dai perplessi contadini), con un cast di 350 persone (tra cui 150 contadini autentici che non avevano mai visto una telecamera) e una temperatura che ha oscillato dai quattro ai 47 gradi. Una meravigliosa favola indiana, con l’immancabile eroe buono e vincente; le immancabili storie d’amore con sogni e gelosie; gli immancabili colori squillanti dei costumi e gli immancabili – e frequenti – canti e balli che punteggiano i film indiani (ricordiamo che la più massiccia produzione cinematografica mondiale è proprio concentrata a Bombay). E poi, come in un
Via col vento
in sari, la componente storica. Ovvero, la lotta agli inglesi oppressori e prepotenti, che ci fanno una gran brutta figura. Ma anche l’affrancarsi di un intoccabile che, grazie a Bhuvan, viene accettato nel villaggio. Insomma, la rivincita dei poveracci. E il trionfo dell’amore e dei buoni sentimenti (il traditore si redime, il cattivo viene punito…). Oltre che del cricket. Già perché tutto il film ruota attorno a questa partita che «libererà dalle tasse». Un bel film (e tra i più costosi della storia cinematografica indiana), un avvincente polpettone, con il bellissimo Aamir Kahn, che ricorda un giovane Tyron Power, idolo delle folle indiane. Kahn, proveniente da una famiglia di cineasti, è attore e produttore di
Lagaan.
E ha deciso di recitare nel film solo qualche tempo dopo aver accettato di produrlo. Impossibile non restare affascinati e divertiti da questo film, premio del pubblico al Festival di Locarno 2001 e candidato agli Oscar 2002 tra le pellicole straniere, quando vinse
No Man’s Land.
A patto di saper stare quasi quattro ore davanti allo schermo e di appassionarsi, almeno un po’, al cricket.