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Il piccolo ladro

È un film che non lascia certo indifferenti, questo lavoro di Erick Zonca, che non esita a calcare la mano per delineare con accenti spietati e sgradevoli la parabola tragica del piccolo apprendista panettiere dal nome sconosciuto, insignificante, anonimo (conosciamo solo l’iniziale S., che diventa l’unico suono al quale far corrispondere il personaggio, il suo destino, la sua elementare prospettiva morale), il quale per migliorare il proprio status si unisce a una banda di delinquentelli che svaligia appartamenti. Un amico lo presenta poi al fratello – invischiato in attività ben più consistenti, dallo spaccio allo sfruttamento della prostituzione – che lo prende come autista personale e arriva persino a costringerlo a una fellatio. Tutto degenera: il protagonista causa la morte dell’amico, scippa l’anziana madre del capo e infine viene sgozzato in piena strada, sotto gli occhi indifferenti dei passanti. Potremmo a questo punto pensare che per lui sia finita, se una coda narrativa non ce lo mostrasse di nuovo alle prese con pagnotte, sfilatini e farina. Non è stato un incubo, né credibilmente da quella spirale si sarebbe potuto tirar fuori incolume. Con la cicatrice ben visibile sulla gola di S., Zonca sembra suggerire l’impossibilità di sottrarsi a un lavoro ingrato e a una dimensione sottoproletaria, se non a costo della vita. Più che a un racconto realistico, Le petit voleur è accostabile quindi a un lucido – e ovviamente durissimo – pamphlet sociologico. (anton giulio mancino)