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I figli della pioggia

In un mondo preistorico due popoli si fanno la guerra. Sono i Pyross, adoratori del sole, per cui l’acqua è foriera di morte e distruzione, e gli Hydross, i figli della pioggia che rinascono con la stagione umida, dopo aver passato i mesi caldi e assolati trasformati in statue di pietra. I Pyross, ogni anno, partono per combattere i figli della pioggia. E li distruggono, perché li ritengono responsabili di tradimento e delle loro disgrazie. Tra klütz – specie di trampolieri -, brontos – sorta di brontosauri neri -, e diplos – draghi domestici… Solo un grande amore, tra un Pyross e un Hydross, tra il coraggioso Skän e la bella e dolce Kallisto, salverà il mondo…

Un cartone animato «politico-sociale», così ha definito il suo ultimo, laboriosissimo film Philippe Leclerc, il regista de
I figli della pioggia.
Che si avvale della collaborazione di una grande matita, il disegnatore francese Philippe Caza, della premiata scuderia Métal Hurlant, che negli anni Settanta cambiò i connotati ai fumetti. Questo film è una grande metafora, una sorta di parabola che inneggia alla pace e alla tolleranza. Una grande lotta tra buoni e cattivi che finirà con una riunificazione delle due anime opposte e nemiche di uno stesso essere. Con una brillante idea iniziale: quella di dividere i due popoli a seconda del clima (tema che ha tante implicazioni contemporanee…). E tanti personaggi buffi, incredibili, divertenti e spaventosi. Ma è un cartone animato «difficile»: perché l’argomento è una eterna e sanguinosa battaglia che viene portata avanti inesorabilmente con spietatezza e angoscia. Perché il tratto del disegno (sfondi e Hydross a parte) è geometrico, nervoso e spigoloso. Perché persino i dialoghi sono impegnativi. E perché infiniti sono i rimandi e le citazioni (dai miti greci, alla fantascienza, alla «soluzione finale» nazista…). Ma soprattutto
I figli della pioggia
non è un cartone animato tradizionale per bambini: semmai per grandi e per teen-ager stile
Signore degli Anelli,
perché la paura è sempre (forse troppo) in agguato. C’è molta cultura del fumetto, qui dentro, perché alcuni soggetti (Razza, il gran capo del culto del sole, e i draghi) rimandano a Druillet, e altri (il deserto, i cavalieri sui dinosauri, gli pterodattili…) a Moebius. E naturalmente forte è l’influenza dei cartoni giapponesi, dai manga ai capolavori di Miyazaki, il papà di
Nausicaa,
della
Principessa Mononoke
e della splendida
Città incantata.
Caza ha contribuito, oltre che alla sceneggiatura, anche al disegno degli sfondi, compresi la città troglodita dei Pyross, Orfalaise, ma soprattutto a quella degli Hydross, Amphibole, concepita – è lo stesso Caza a dirlo – «come una sorta di Venezia, come sarebbe stata rivista da Gaudì, con un lato stile liberty barocco e delicato». Lunghissima la gestione di questo film che il cineasta René Laloux voleva realizzare già all’inizio degli anni Ottanta. Ma tra mancati finanziamenti, disegnatori scomparsi e crisi di sconforto, il progetto non riuscì mai ad andare in porto. Fino al 1997, quando vennero reclutati Philippe Leclerc e Philippe Caza. E al 2000 quando venne completata la prima sceneggiatura.
(d.c.i.)