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Fuori vena

Milano, estate, più o meno. Tekla è una giovane punk che vive in una casa occupata della periferia milanese, frequenta una scuola di cinema e la sua giornata è scandita da strisce di coca e ketamina, da bottiglie di Ceres e rave party con la techno che pompa ad alto volume. I suoi amici sono tutti come lei: punk e traveller, dropout e junkie, nemici del posto fisso e del quieto vivere. Tekla ha alle spalle una danarosa famiglia alto-borghese, un padre chirurgo plastico, una realtà convenzionale con le sue ipocrisie e le sue meschinità, che rifugge ma con cui deve fare i conti, comunque. Una mattina, casualmente, si scontra con Zanna, un tipo sveglio e disinvolto malgrado l’evidente dipendenza da eroina. Attratta dalla simpatia, e ancor più dal suo essere tossico, Tekla lo provoca e poi lo seduce, innamorandosi. Ne nasce un melodramma diseredato, nel quale si specchiano, con ruvida sincerità, le anime e le vicende dei due giovani. Zanna, in bilico fra una vita per l’eroina e la nuova passione, vuole farsi accettare per come è. Tekla però risponde con durezza, malgrado le sue contraddizioni: ok coca e alcool, ok vivere fuori dalle regoli borghesi, ma niente eroina. La ragazza gli impone un aut-aut: se non vuole perderla, Zanna deve smettere di farsi. Arriva poi la morte di un amico di piazza, pochi giorni dopo, un ragazzo-simbolo, uno di quelli che si faceva da vent’anni senza mai un collasso: un buon motivo nel giro per diventare un mito. Tekla convince Zanna a cercare di disintossicarsi con il metadone, ma quando lui scopre che lei sta scrivendo un film sulla loro storia, torna dai vecchi amici e riprende a bucarsi.

Un film a tratti decisamente poetico. I giochi con la videocamera e il super 8, il montaggio frenetico e la musica giusta sono da brivido, anche se ogni tanto si corre il rischio di cadere nel manierismo del videoclip. La regista è brava con le immagini e il suo sguardo sulla città è preciso, crudo, saturo di colori, a tratti onirico. Un plauso meritano anche i non-attori, tutti ragazzi presi dalla strada.

Ma è la storia in sé che lascia più di un dubbio, che obbliga a fare delle non-scelte di campo, a prendere le distanze dai modelli proposti e dalle alternative ai medesimi, perché schierarsi potrebbe addirittura risultare ipocrita.

Il finale lascia la scelta allo spettatore: l’eroe può essere antieroe, e viceversa. Resta la storia d’amore, imperfetta e irrisolta come tutte, la storia di un tossico che fa di una punk la sua ultima chance, la storia di una punk che impara la natura della vita, dura e appassionata, in un carosello di sbronze cattive, rave-party illegali, tenere corse al chiaro della luna milanese. Ma la vita è un’altra cosa.
(gabriele lunati)