E

Exils

Zano
(Romain Duris)
e la sua ragazza Naïma
(Lubna Azabal),
due giovani francesi di origini algerine, decidono di lasciare Parigi e intraprendere un viaggio alla scoperta delle loro radici. Lo faranno con mezzi di fortuna, incontrando, lungo il cammino che li condurrà ad Algeri, donne e uomini che fanno il viaggio inverso: lasciano le proprie radici per andare a cercare lavoro nella ricca Europa. Come bagaglio hanno con sé soltanto i lettori mp3 dotati di cuffie per l’ascolto della musica, loro inseparabile compagna.

Premiato a Cannes per la miglior regia,
Tony Gatlif
trasfonde in questo bel film gitano il suo vissuto e – insieme con esso – il convincimento che l’Europa possa essere il ponte tra due mondi che si vorrebbero artatamente contrapporre. Riprendendo il filo tessuto durante tutto il corso della sua filmografia, cominciata nel 1973 con il corto
Max L’indien
e passato soprattutto per il documentario
Latcho Drom
(1993) e il lungometraggio
Gadjo Dilo – Straniero pazzo,
il cinquantaseienne regista francese di origini algerine racconta l’andata e il ritorno di coloro che da noi chiamiamo – con terrificante eufemismo – extracomunitari. Andata e ritorno fisicamente fissati sulla pellicola nella scena in due i due protagonisti, giunti sulle coste africane, fendono una moltitudine che procede in senso contrario.

Girato con perizia ma senza accademismi, Gatlif si conferma tra i capifila del filone culturale meticcio, curiosamente – ma a pensarci bene neppure troppo – accomunabile a Emir Kusturica anche per la passione musicale. L’identificazione del regista con i suoi due personaggi, che rappresentano i modi nei quali viene solitamente vissuto lo straniamento da migrazione – la ricerca curiosa delle origini di Zano contrapposto al rifiuto categorico di Naïma (che. essendo donna, fa molta più fatica a ricavarsi un ruolo accettabile nella società islamica) – è proprio cementata dalla musica.

I ritmi urbani, jazzati, bastardi dell’esordio parigino (a proposito, ma che c’entra il nudo maschile esibito in apertura?) si trasformano, a mano a mano che il viaggio prosegue, nei poderosi flamenchi andalusi ascoltati alla
Carboneria
di Siviglia, per raggiungere l’apice con l’eccezionale ripresa dell’ipnotizzante danza
sufi
del finale. Attraverso l’antico rito catartico, i due giovani si scrollano di dosso il peso della loro doppia identità. Nella scena conclusiva, girata nel bellissimo cimitero di Algeri, invaso dalle erbe di campo, la trasformazione si completa: Zeno e Naïma, finalmente in pace con i loro antenati, risorgono a una nuova esistenza e possono così fare ritorno in Francia come cittadini di un mondo che è sia francese (europeo) che algerino (africano).

Un film gustoso e soprattutto ottimista. A patto che riusciate a vederlo (in Italia è distribuito in una manciata di copie dalla
Lady Film).

(enzo fragassi)