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Zona di guerra

Da un romanzo ambiguo e cattivo di un giovane scrittore inglese (Alexander Stuart), Tim Roth ha tratto il suo primo film da regista. Arduo e coraggioso. Una famiglia «normale», in un casolare della campagna del Devon, cela un segreto che lo spettatore scopre ben presto: il padre abusa con regolarità della figlia, mentre la madre fa di tutto per non capire. Sarà il fratello a sviluppare una contraddittoria e pazzesca presa di coscienza. Non c’è un solo momento in cui lo spettatore sia confinato al voyeurismo, in cui non solidarizzi lucidamente con la vittima. La prova del nove è la difficilissima scena dell’abuso sessuale: il regista non indietreggia e non stilizza, ma – che io ricordi – si tratta della messinscena più «morale» mai vista di una situazione del genere. Esemplare la direzione delle attrici più ancora che degli attori: Lara Belmont è una vittima tutt’altro che patetica, anzi con un che di animalesco nel corpo e negli occhi; Tilda Swinton fa la casalinga quieta e regge magistralmente un paio di complicatissime scene madri. Più che un gran film, una lezione – appunto – di morale dello sguardo. (
emiliano morreale
)