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Unbreakable-Il predestinato

David Dunn (Bruce Willis), il solo scampato a un terribile disastro ferroviario senza un graffio arriva a trovare il senso della propria vita dopo lunghi interrogativi e tanti dubbi, accompagnato nella comprensione e nell’accettazione di sé da uno strano individuo, Elijah Price (Samuel L. Jackson), nato con una disfunzione che rende le sue ossa fragili come il vetro. Dunn riesce così a dare finalmente un equilibrio e un significato a tutta la sua esistenza…
La deontologia critica non lo permetterebbe, ma non è semplice parlare di
Unbreakable
senza partire dallo svelamento finale, che attribuisce senso a una delle tracce poste dallo script. Ed è, per dirla tutta, l’unico senso – e l’unica traccia – che abbiamo apprezzato: la creazione di una mitologia moderna per mezzo di atti di terrorismo. Ma meno si dice meglio è, per non svuotare del tutto lo shock conclusivo… E con
Il sesto senso
– precedente fortunatissima pellicola di Shyamalan – alla mano, non ci vogliono grandi capacità divinatorie per capire come la sua messinscena ovattata e monocorde sia tutta tesa a una rivelazione che sigilla il racconto e dovrebbe scioccare il pubblico. Voleva così
Il sesto senso
, ma si trattava, a conti fatti, di una bufala. In
Unbreakable
, invece, il meccanismo funziona e il risvolto che chiude la storia ombreggia il film di nero rivoluzionario, e perfino pericoloso. Forse più sulla carta, a dir la verità: perché Shyamalan, prima dei titoli di coda, fa rientrare tutto in un contesto di «falsa realtà» che infastidisce non poco. Così come infastidisce l’asse di senso portante dell’intero film: capire, prima o poi, qual è il proprio posto e ruolo in questo mondo e in questa vita.Suona molto New Age, è in effetti lo è. Shyamalan non è uno stupido, ed è persino consapevole di molto cinema che conta degli ultimi tempi (quello, per intenderci, che annebbia la comprensione delle cose con ostacoli alla visione: tra i tanti,
In the Mood for Love
di Wong Kar-wai e
Yi Yi
di Edward Yang), intento com’è a riprendere i personaggi attraverso «impedimenti», ma non riesce a far a meno di una sceneggiatura a tratti imbarazzante. Jackson sfoggia una pettinatura inquietante, e Willis è – come sempre – bollito. Musica vergognosa di James Newton Howard.
(pier maria bocchi)