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Una storia vera

Per andare a trovare il fratello colpito da un infarto (e col quale ha litigato molto tempo addietro), Alvin Straight si mette in viaggio dall’Iowa al Wisconsin su un piccolo trattore tagliaerba.

In apparenza, l’inversione di marcia di un grande visionario «nero»; ma, superato lo shock iniziale, ci accorgiamo subito che Lynch continua il suo scavo nelle vene profonde dell’America, muovendo da tinte pastello – che però sono anche quelle dell’iperrealismo di Segal (gli interni) – e allargando il respiro per giungere a Whitman e a Twain. Il viaggio, cocciuto e insensato, del protagonista verso la casa del fratello è in piccolo la follia di Achab, di certi personaggi di Hawthorne, di Wakefield che una mattina andava via di casa senza motivo e dopo alcuni decenni, senza motivo, vi ritornava.

Mai Lynch era stato così «religioso», mai aveva inquadrato le strade e i campi così dall’alto, con uno sguardo paragonabile solo a quello dell’ultimo Malick. La faccia di Richard Farnsworth, morto suicida poco dopo l’uscita del film, è indimenticabile.
(emiliano morreale)