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Un corpo da reato

Liv Tyler circuisce uomini e il suo uomo li svaligia. Si innamora di un barista, che la aiuta a farla franca quando lei accoppa il marito. Tra i due comincia un vita di coppia, resa interessante dal fatto che lei è un’autentica bomba del sesso. La stessa storia viene raccontata da tre personaggi diversi: il barista la racconta a un killer, suo cugino avvocato la racconta allo psicanalista, il poliziotto la racconta a un prete. E ben presto viene fuori come questa donna ha devastato le loro vite…
Che quello di Liv Tyler fosse ancora, come recita il brutto titolo italiano, Un corpo da reato , potevano dubitarne gli spettatori che ne avessero seguito lo sviluppo, dal bocciolo seguito dal botanico decadente Bertolucci alla versione matronale della svagata lesbica di Dr. T e le donne . Ma eccola sbalordirci, tinta di rosso, in uno di quei film fatti apposta per rilanciare un’attrice mettendole a disposizione guardaroba (anche intimo), bronci e ralenty. E lei ricambia: è così sexy che tiene in piedi il film come di rado avviene.
La commedia, pur andando un po’ a scartamento ridotto, con un’aria dimessa da cable Tv, in realtà è piuttosto cattiva: una satira misogina del matriarcato che mostra come una donna per costruirsi il nido, non arretri dinanzi al furto, al pluriomicidio e alla seduzione multipla. La Tyler si prende amabilmente in giro, così come gli interpreti maschi, una bella collezione di loser mammisti, affetti da varie turbe sessuali. La sceneggiatura fila via liscia, la messinscena utilizza con originalità le manipolazioni digitali per costruire un universo femminile kitsch pastello, a un passo dal John Waters più morbido. Carina, in teoria, l’idea di mettere la musica dei Village People sulla sparatoria finale (anche se il regista non ha la più pallida idea di come si filma una sparatoria). (emiliano morreale)