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The legend of Zorro

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Seguito de La maschera di Zorro, girato nel ’98 da Martin Campbell (Vertical Limit, 007 Goldeneye e il prossimo episodio della serie, Casino Royale), The legend of Zorro riprende la storia dieci anni dopo il matrimonio tra don Don Alejandro De La Vega (Antonio Banderas) e la bella Elena (Catherine Zeta-Jones). Scopriamo così che nel frattempo è nato e cresciuto un vispo ragazzino, Joaquin (Adrian Alonso), che già mostra innate affinità col padre, di cui però ignora la doppia identità. Sullo sfondo, l’adesione della California all’Unione degli Stati americani. Zorro vorrebbe continuare a difendere gli oppressi almeno fino a che lo storico processo di unione non sarà stato completato; come ogni moglie preoccupata del marito che trascorre troppo tempo lontano dal focolare domestico, Elena vorrebbe invece che lui appendesse definitivamente la maschera al chiodo. La lite che segue sfocia nel divorzio. La bella Elena, tornata libera da impegni coniugali, non tarda a suscitare l’interesse di un aitante aristocratico francese appena arrivato in città, il conte Armand (Rufus Sewell). La situazione si complica quando Zorro scopre che il suo rivale in amore è anche a capo di una pericolosa setta segreta, i Cavalieri d’Aragona, intenzionata a osteggiare con ogni mezzo il processo di adesione della California all’Unione.
Assorbito il travaso di bile per lo sfarzo che trasuda da ogni inquadratura, mestamente messo a confronto con i conti della serva cui sono spesso obbligati i filmaker indigeni più talentuosi, il giudizio su questo Zorro in versione domestica, lacerato tra le gioie borghesi e l’impegno civile, non può che essere a sua volta duplice: 7 per – appunto – la ricchezza dell’apparato scenico, la spettacolarità delle azioni, la recitazione professionalmente ineccepibile dei due protagonisti (lui, tuttavia, segnato da pesanti borse sotto gli occhi, un po’ bolso per tutte quelle acrobazie; lei sempre strizzata in corpetti da togliere il fiato o nascosta da ampie palandrane); non oltre il 5 la storia e il contesto in cui si sviluppa, al servizio della solita retorica dei buoni sentimenti, con i cattivi cattivissimi e i buoni buonissimi, la bandiera americana sempre in primo piano e quell’odore di torta al formaggio che sembra aleggiare in sala anche quando sullo schermo scorrono pazzi inseguimenti e botte da orbi. Del resto, ci aveva già pensato zio Walt (Disney) molti anni fa a purgare il personaggio del vendicatore mascherato creato da Johnston McCulley di tutte le sue sfumature più controverse. Solo una pennellata di sana ironia contribuisce a strappare un definitivo 6 (ma il barattolo di popcorn ve lo dovete pagare a parte). (enzo fragassi)