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The Family Man

Dopo aver lasciato (tredici anni prima) Kate per andare a studiare Londra, Jack Campbell è diventato uno spietato squalo di Wall Street. In attesa di condurre in porto una delicata fusione finanziaria, Jack costringe i suoi colleghi a rimanere in ufficio a fare le ore piccole anche la vigilia di Natale. A notte fonda, deciso a fare due passi, va a comprare del latte in un negozio di alimentari. Qui trova Cash, un afroamericano che in seguito a una lite col commesso coreano tira fuori una pistola. Jack riesce a ricondurre Cash alla ragione: parlando e straparlando, gli tiene pure una specie di arrogante lezione di vita. Ma Cash lo prende alla lettera e gli combina un micidiale scherzetto.

Un regista curioso, questo Brett Ratner. Specialista di commedie d’azione (
Rush Hour-Due mine vaganti
), compare in un gustoso cameo autoparodico in
Black & White
di James Toback. Sorprende quindi trovarlo alle prese con un mélo natalizio frankcapriano fotografato da Dante Spinotti, musicato da Danny Elfman e con tanto di Don Cheadle a fare le veci dell’angelo Clarence. La parabola dei buoni sentimenti è di una letale esemplarità, ma se è vero (come è vero) che di alcuni film si sa già tutto in anticipo e se è vero che – stando a Douglas Sirk – ciò che conta è vedere attraverso quali articolazioni giunge la sospirata parola «fine», allora bisogna dare atto a Ratner di aver costruito il suo intreccio con un certo acume (bello il cameo del padre di Robert Downey).

Evitando facili e moralistici manicheismi,
The Family Man
riflette amaramente sull’impossibilità di essere felici. Dopo la conclusione, forse, non resta altro da fare che sognare la vita che non si è avuta e pensare che sarebbe stata davvero «un’altra vita».
(giona a. nazzaro)