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Tartarughe dal becco d’ascia

Su un altopiano innevato, in una baracca, covano tensioni a metà strada tra Beckett e la tragedia elisabettiana tra quattro personaggi: il padre-padrone Udo, la moglie Vera, il timido figlio Raphael e il disertore Zlatan, innamorato della donna. L’arrivo di un bambino, superstite alla strage della famiglia in una fattoria vicina, farà precipitare tutto verso la catastrofe. Il tentativo di uscire dagli schemi del cinema italico da tinello è apprezzabile, meno i risultati. Dialoghi perennemente urlati e con troppi «cazzo», che è la sempre la scappatoia più facile; la soluzione affidata a un colpo di scena che sposta il film verso un più prevedibile terreno di genere; troppi simbolismi grevi e scontati: insomma, un’aria ostentatamente «artistica» e alta che non sempre è all’altezza delle ambizioni, e alla fine si avvolge tautologicamente su se stessa. Il talento c’è, non si discute, ma non fa che guardarsi allo specchio. E a quale pubblico si rivolga un film così (se non agli abbonati dell’Out Off), resta un mistero. Belle musiche di Giancarlo Schiaffini.
(alberto pezzotta)