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Sweet Sixteen

Liam ha quindici anni, fra poche settimane ne compirà sedici. Sua madre è in carcere e uscirà proprio il giorno del suo compleanno. Sua sorella è una ragazza madre e lui vive con il nonno tossicodipendente e il fidanzato della madre spacciatore. I suoi amici sono piccoli bulletti di una periferia scozzese dilaniata dalla delinquenza, dalla droga, dalla violenza. Giovani generazioni che crescono alla giornata, rifiutando ogni istituzione. Dalla vita hanno preso solo calci e adesso iniziano a restituirne con ancora più rabbia. Liam entra in un giro grosso, inizia a fare soldi, prende un appartamento per accogliere la madre quando uscirà. Sogna in positivo, vuole riunire la sua famiglia sotto un tetto borghese, ma i principi da cui parte tutto non sono ovviamente i migliori. E poi, la gente, difficilmente cambia. Certi problemi non si risolvono con i pugni o con il carcere. Un Loach forse meno incisivo del solito, ma sempre molto forte, come un pugno nello stomaco. Voi che siete nei comodi cinema, ecco che cosa succede nelle periferie delle vostre città, ecco che giovani stiamo crescendo con il nostro menefreghismo, se continuiamo a lasciarli abbandonati a loro stessi non possono fare altro che peggiorare. Questo sembra l’allarme di Loach, raccontato attraverso gli occhi di un adolescente il cui unico desiderio è avere una casa e una famiglia normale e se per ottenere tutto questo bisogna sbagliare lo si fa, a tutti i costi. Come al solito Loach cerca i suoi protagonisti tra ragazzi della strada, esordienti assoluti, ma con una realtà e verità nel volto che altrove non si può certo trovare. Premiato al Festival di Cannes 2002 come Migliore sceneggiatura.
(andrea amato)