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Suspicious River

Leila è una (bella) ragazza addetta alla reception di un motel vicino a un fiume. Ai clienti, oltre alle camere, offre i suoi personali servigi per 60 dollari. Un cliente via l’altro. C’è quello grasso, quello che la prende a sberle, quello che la insulta, quello che la violenta, quello che torna e l’altro che passa parola agli amici. Leila, a casa, ha un legittimo marito che non sembra far nulla per invogliare la ragazza a rimanere con lui. Una vita squallida in una squallida cittadina di provincia, Suspicious River, appunto. Arriva nella camera numero 10 un cliente belloccio, ma violento, Gary. La picchia. Ma lei ritorna da lui. Chiede il doppio (e lo ottiene). I due cominciano una storia, al di là del rapporto prostituta-cliente, tanto che lui le propone di scappare. E lei è disposta a dargli i 2500 dollari guadagnati con il suo «lavoro», oltre a svuotare la cassa del motel. Vanno via in auto. Per finire in uno chalet dove non la aspetta nulla di buono.

Un film orribile, tanto per essere chiari, questo della regista canadese Lynne Stopkewich. Che ha un modo per raccontare lo squallore, l’amoralità, la violenza, il sesso, la solitudine, l’autodistruzione ancora più squallido e angoscioso della realtà narrata. Dialoghi cretini, uso gratuito della violenza, espedienti narrativi assolutamente banali e inutili come la presenza un po’ inquietante di una bambina che abita vicino al motel, testimone del tradimento della madre con lo zio. Banali le riflessioni solitarie davanti al fiume (i suoi capelli sanno di fiume, le dice il marito tradito), dove sguazzano i cigni. E sesso, ovviamente, vista l’attività della signora che dice alla collega di non riuscire a smettere. La morale in una frase di Leila: «Non si può fare del male a chi non sente dolore». Allo spettatore resta un senso di angoscia per un film francamente inutile. Unico sollievo la bella Molly Parker. Troppo poco.