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Sotto gli ulivi

Un regista sta girando un film in una località devastata dal terremoto, utilizzando come attori gli abitanti dei villaggi circostanti. Uno dei protagonisti fatica a interpretare la sua parte perché turbato da quanto gli sta accadendo fuori dal set (si è innamorato della sua partner). Il regista decide allora di cambiare storia. Il punto più avanzato del percorso di Kiarostami (e il sospetto è che, da allora, egli non faccia che ripetersi in modo sempre più sopraffino e stilizzato). Il terremoto ha, per il regista iraniano, lo stesso valore dell’infanzia: situazioni-limite attraverso cui verificare la possibilità di un «realismo» cinematografico. Il cinema di Kiarostami vive – e questo film più di altri – sul confine tra realtà e fiction, in campo e fuori-campo.
Sotto gli ulivi
nasce quando Kiarostami si accorge che, nel girare E la vita continua, ciò che accadeva fuori-campo era più interessante di ciò che accadeva in campo. E allora lo insegue in questo film. Ma – confessava – avrebbe dovuto fare un altro film ancora per afferrare il fuori-campo di questo… Il fuori-campo e il fuori-tempo: tutta la pellicola è una continua ripetizione, una discronia, un inceppamento. Ma Kiarostami crede ancora al cinema, e alla sua capacità di tirare le fila del discorso: ne è la prova il finalone in campo lunghissimo con le musiche di Cimarosa. Un happy ending quasi hollywoodiano.
(emiliano morreale)