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Shaolin Soccer

Il giovane Sing è un vagabondo che vive a Shanghai e si dichiara seguace del kung fu del monastero di Shaolin. L’uomo vorrebbe divulgare la pratica delle arti marziali tra la gente comune, ma si scontra con lo scetticismo dell’indaffarata e ormai modernizzata popolazione cinese. Dopo aver tentato di diffondere il verbo perfino in forma di musical, il fortuito incontro con Fung, ex campione di calcio ridotto in disgrazia, convince Sing che le tecniche del kung fu possono trovare nel football la sua ideale applicazione e cassa di risonanza. Fung e Sing mettono in piedi una scalcagnata comitiva, formata da monaci Shaolin ormai decaduti ai quali le regole del calcio sono totalmente sconosciute, e iscrivono la squadra a un prestigioso torneo, dove si ritroveranno ad affrontare il team foraggiato da Hung, acerrimo nemico di Fung. Da anni beniamino del pubblico di Hong Kong, Stephen Chiau è l’indiscusso re della commedia demenziale cantonese (la sua comicità viene definita «mo lei tau», ovvero nonsense), detentore di uno stile personale e inconfondibile: i suoi film sono essenzialmente basati su una struttura narrativa libera (in alcuni casi addirittura anarchica) in cui vengono inserite senza soluzione di continuità le sue gag surreali. In questa occasione, Chiau diminuisce sensibilmente la quantità delle battute e delle trovate comiche per concentrarsi più a fondo sulle dinamiche della vicenda (nei suoi risvolti anche più seri) e, soprattutto, sull’aspetto puramente tecnico (legato, ma non più di tanto, all’uso della grafica digitale) in una geniale commistione di dramma e commedia, calcio e kung fu. Il risultato è narrativamente più lineare e meno comico (ma non per questo meno divertente) rispetto ai lavori precedenti (tra i quali autentici capolavori come >From Beijing With Love e God of Cookery, facilmente reperibili in DVD), ma lascia letteralmente a bocca aperta sul piano delle invenzioni visive. Sarebbe impossibile descrivere le trovate che Chiau e i suoi collaboratori (tra questi il coreografo d’arti marziali Ching Siu-tung, lo stesso di Hero di Zhang Yimou) riescono a orchestrare nel corso delle divertentissime partite che diventano una sorta di videogioco in stile manga. Proprio come un cartone giapponese, i giocatori riescono a compiere azioni ai limiti dell’impossibile, si librano in volo, corrono a folle velocità, infrangono ogni regola della fisica e hanno un controllo di palla degno del più straordinario dei giocolieri da circo. E tra una gag e l’altra, Chiau trova perfino il modo di omaggiare il suo idolo, Bruce Lee, vestendo il portiere della squadra come il Piccolo Drago ne L’ultimo combattimento di Chen. Strano a dirsi, però, il connubio tra pallone e kung fu non è una novità: già nel 1983 Brandy Yuen aveva realizzato il mediocre The Champions, con Yuen Biao nei panni di un giovane campagnolo che si ritrova a tentare la fortuna nel gioco del calcio. (andrea tagliacozzo)