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Sex Pistols-Oscenità e furore

Storia dei Sex Pistols attraverso le voci di Steve Cook, Paul Jones, Glen Matlock, John Lydon, Sid Vicious e del loro manager Malcolm McLaren. Voci contrastanti sull’origine della band e sulle intenzioni dei suoi membri, cronistoria degli scandali e della morte annunciata dei Pistols durante la tournée americana. C’è la Jersey Shore di Danny De Vito dietro questo omaggio ai Sex Pistols. Ma a dirigere le danze c’è sempre Temple, che ritorna sul luogo del delitto dopo
La grande truffa del rock’n’roll
(1981), evidentemente intenzionato a farsi perdonare il «filo-McLarenismo» del precedente film. Ironia della sorte, i Pistols – come i Beatles – sono un patrimonio nazionale britannico: inevitabile che la tentazione dell’agiografia si faccia sentire. Ma un certo lirismo da perdenti Temple riesce a catturarlo come pochi. Incuneata nell’ambito della crisi sociopolitica che devastava l’Inghilterra verso la metà degli anni Settanta, la parabola dei Pistols emerge come una nemesi che, salvando il rock’n’roll dal cadavere in putrefazione del progressive, riafferma la centralità britannica nell’immaginario musicale giovanile. In altre parole: hanno fatto più i Pistols per l’economia del loro Paese che due governi Thatcher! D’altronde è veramente toccante vedere Johnny Rotten che si fa impiastricciare la faccia di torta dai figli dei pompieri in sciopero durante un concerto di beneficenza. Altro che Ken Loach… Temple, dal canto suo, scegliendo di lasciare al buio i protagonisti durante le interviste, sembra dichiarare una sorta di impossibilità di stabilire la verità dei fatti: i parlanti si equivalgono, nonostante la zazzera rossa di «Giannino il marcio» sia inconfondibile anche al buio. Frammentario e volutamente low-fi, assemblato come un cut-up, il film di Temple, aderendo così teneramente al proprio oggetto, finisce per condividerne anche la sorte estetica, ascendendo senza problema alcuno all’empireo dei classici. La vera furia sembra infatti essere contenuta nelle sequenze di
D.O.A.
di Lech Kowalski (ampiamente campionato nel finale), che documenta crudamente il tour americano dei Pistols. A Temple non resta altro che un’elegia punk della gioventù perduta, che ci commuove proprio per essere così disperatamente fuori dal tempo. Resta da sperare che la ragione per cui hanno fatto il film sia il «filthy lucre»!
(giona a. nazzaro)