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Seduzione mortale

Frank Jessup, infermiere accorso una sera in casa Tremayne, seduce la figlia dei padroni di casa, Diane. O è il contrario? La piccola Tremayne coinvolge il perplesso paramedico in una spirale delirante, verso un’inattesa conclusione.

Preminger ha diretto molti film. E molte opere teatrali. A Vienna e a Broadway. Questo robusto ebreo viennese, talmente smagato da interpretare un ufficiale nazista in
Stalag 17
(1953) del concittadino Wilder, è uno dei pochi cineasti a utilizzare lo spazio cinematografico come una gomma da masticare. Guardando alle scene cinematografiche con la curiosità con cui il figlio di un procuratore absburgico osserverebbe il chewing-gum, Preminger impernia i propri drammi su un conflitto di caratteri; lo spazio deve adattarsi all’enormità di questi personaggi e alla violenza dei loro conflitti. Sicché l’impressione è di assistere a un corposo dramma teatrale, sulla cui scena gli attori si muovono con elegante nonchalance, la macchina da presa dietro di loro: non a caso uno dei suoi capolavori è il dramma giudiziario
Anatomia di un omicidio
(1959). La scena primaria di Preminger è un’aula di tribunale. È così per
Vertigine
(1944), o per la costruzione perversa di
Fallen Angel
(1945). Ma, forse, mai come nel lancinante
Seduzione mortale
Preminger era giunto a soffondere un’atmosfera talmente venefica. In fin dei conti basta prendere un incipit da noir, spostarne il baricentro verso la commedia rosa e progressivamente accenderne i colori verso il melodramma più fiammeggiante. Basta saperlo fare. E avere Bob Mitchum e Jean Simmons a sostenere l’edificio.
(francesco pitassio)