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Quando sei nato non puoi più nasconderti

In un’epoca come la nostra, fatta di massiccia immigrazione, di demagogia e stereotipi che alimentano le nostre paure e incomprensioni, di stranieri usati nelle fiction televisive come macchiette dei luoghi comuni sulle varie etnie, un film come quello di Marco Tullio Giordana era forse necessario, nella misura in cui riesce a essere termometro della nostra percezione del fenomeno epocale dell’immigrazione, riesce e registrare quanto siamo cambiati e come ci poniamo rispetto al mondo nuovo e diverso in cui viviamo. Che poi abbia ottenuto quest’effetto o ne abbia avuto l’intento (sulla scia di un cinema di impegno sociale) resta da vedere.

Intanto va lodata l’idea narrativa di fondo: mostrare l’Italia di oggi, la presenza degli immigrati nel lavoro, nella scuola e nella società, attraverso gli occhi «innocenti» di un dodicenne, abbastanza grande da voler capire ma non ancora irretito negli schemi mentali degli adulti. Sandro (Matteo Gadola), vive a Brescia, i genitori sono giovani imprenditori, lui è abituato a un certo benessere che comprende gli stranieri come operai nella fabbrica di famiglia o come compagni di scuola. Ne è incuriosito con la sincerità tipica dei suoi anni, ma più che altro condivide con loro spazi e attività accettando il mistero della loro diversità. Finché una notte, in crociera nel Mediterraneo col babbo e un amico, cade in mare e dopo ore di disperazione viene raccolto da un barcone pieno di clandestini. Dovrà fingersi straniero per evitare che gli scafisti italiani (brutti, sporchi e cattivi) possano chiedere un riscatto, si affezionerà a un coppia di fratelli rumeni – Radu (che lo ha salvato dall’annegamento) e Alina (piccola Lolita già consapevole del potere del suo corpo) – e con loro condividerà sete, stenti e solidarietà. L’odissea di quella piccola arca di Noè di razze finirà in un centro di accoglienza pugliese, Sandro ritroverà i genitori che lo piangevano per morto e li convincerà e tentare l’affidamento dei due giovani rumeni. Finirà come tanta cronaca ci ha abituati: Alina baby-prostituta in una fabbrica dismessa nella periferia milanese, trasformata in una babele infernale di reietti; Radu ladro e fuggiasco (forse sfruttatore di Alina, forse neanche il fratello); e Sandro diventato uomo in una terra di mezzo, refrattario ai pregiudizi dei grandi perché ha condiviso il calvario degli «altri», eppure impotente di fronte alle scelte, al destino e all’etica di quelli che credeva amici oltre ogni barriera ma che non sono come lui e non possono vivere come lui.

Ispirandosi molto liberamente all’omonimo libro inchiesta di Maria Pace Ottieri, Giordana non fa mistero delle sue citazioni cinefile: dal Rossellini di
Germania, anno zero
, a
Lezioni di piano
di Jane Campion (quando Sandro sta affogando, citazione peraltro inopportuna e gratuita) e forse a
Lamerica
di Amelio (che incombe non voluto o non confessato). Purtroppo, malgrado qualche scena ben riuscita (su tutte quella in cui Alina-prostituta, nella fabbrica dismessa, parla a Sandro attraverso la canzone
Un’emozione per sempre
di Eros Ramazzotti, il cui testo banale diventa una confessione struggente di dolore e illusioni) il film non solo non riesce a raggiungere la scavo morale di un Rossellini e il delicato equilibrio tra realismo e intimismo di Amelio, ma diventa paradigma di una incapacità degli intellettuali e di noi tutti di saper capire le trasformazioni sociali e psicologiche che stiamo vivendo. In tal senso, l’idea del bambino come perno del film – che dovrebbe salvare la pellicola dalla retorica più corriva, dal buonismo di sinistra, e offrire una visuale vergine sul tema – si rivela un artifizio di scrittura, cade nei cliché che vorrebbe evitare (i rumeni sono ladri e sfruttatori di prostitute, i neri onesti lavoratori) e sancisce il suo fallimento in un finale aperto che complica le domande cui non sa rispondere.

Specchio della complessità dei tempi? No, radiografia involontaria della nostra impreparazione di fronte a questa complessità. Resta la distanza, intatto il mistero della diversità, e noi, come Sandro, facciamo i conti con i dubbi e le paure che l’incontro con gli altri fa nascere senza risolverli, e in questo il film (ma non è un pregio) condivide i nostri limiti.  
(salvatore vitellino)