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Prendimi l’anima

Sabina Spielrein è ricoverata nel 1909 in un ospedale psichiatrico di Zurigo, per una grave forma di isteria. Il medico che la cura è al suo primo incarico, si chiama Carl Gustav Jung ed è ansioso di mettere in pratica l’insegnamento e il metodo del suo maestro Sigmund Freud. La donna guarisce miracolosamente in meno di un anno, ma ottant’anni dopo, negli scantinati dell’ospedale, viene scoperto il carteggio tra la Spielrein, Jung e Freud. Dalle lettere si scopre che la ragazza si era innamorata perdutamente, corrisposta, di Jung. Freud difende il suo allievo, anche se anni dopo accoglierà la Spielrein tra i suoi discepoli eletti. Agli inizi degli anni Venti la donna si trasferisce in Russia, a dirigere un asilo con metodi non convenzionali e all’avanguardia. Applicherà la psicoanalisi nell’educazione infantile. Tutto bene finché è in vita Lenin, ma con l’avvento dello stalinismo la Spielrein verrà messa in discussione e ostracizzata dal regime. Fino alla sua morte avvenuta per mano nazista durante la guerra. Una storia vera, molto affascinante, tra passioni irrefrenabili, scandali soffocati e la nascita della psicoanalisi. Faenza scava nella vita dei protagonisti e soprattutto è affascinato dagli ultimi anni russi della Spielrein, quelli meno noti al grande pubblico. Un lavoro certosino, di ricerca e indagine, supportato sul grande schermo da bravi attori perfettamente calati nei ruoli. Purtroppo, forse, con una storia così avvincente si poteva scrivere una sceneggiatura più articolata, o forse solo meno banale. Soprattutto i dialoghi a volte lasciano l’amaro in bocca, come se fossero stati scritti con la mano sinistra. Per il resto un film godibile, con una storia molto intensa.
(andrea amato)