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Pornocrazia

Una donna si taglia le vene nei bagni di un locale gay e un uomo la trova e la salva. Lei gli offre di pagarlo affinché lui la guardi «là dove lei non è guardabile». In una villa a picco sul mare, si denuda e si lascia guardare dall’uomo, appollaiato su una sedia davanti al letto, per quattro notti consecutive.
La voce della regista Catherine Breillat, fuori campo, racconta in prima persona, quasi fosse quella di un uomo, le sensazioni e i sentimenti del personaggio interpretato da Rocco Siffredi di fronte a una donna che è sicuramente più forte di lui. È lei a pagare, quindi a condurre il gioco, e come in tutti i film della regista francese è la donna a parlare, a usare l’intelletto, mentre il maschio non ha argomenti per controbattere alle domande e alla derisione insultante. Lui riesce a sfogarsi solo davanti a un bicchiere in un bar, lontano da lei, complici altri uomini. E quando comprende di amarla ma di non possederla, non può che usarle violenza, in un altro rituale tipico dei film della Breillat. Per lei l’amore vero, quello puro, non può durare che un istante, poi ci sono il sangue, la morte, come nei testi di un autore che ha contribuito alla formazione culturale della regista francese, Georges Bataille. Quella che i francesi chiamano la «petite mort» (l’orgasmo) conduce alla «grande mort», quella vera. Rocco Siffredi, alla seconda interpretazione per la regista dopo Romance, esterna bene la sua frustrazione, mentre Amira Casar (doppiata nelle scene hard) è la perfetta donna che non riesce a trovare un uomo che la sappia soddisfare e non a caso la sua scelta cade su un gay.
Dialoghi forti, scene che rasentano l’hard, oggetti inseriti nelle parti intime, tampax insanguinati usati come bustine da tè, liquidi corporei vari. Poi la religione, sempre associata al sesso e al sangue nei libri di Bataille, qui presente tramite un crocifisso che osserva in silenzio il malato rapporto dei due. La regista non si smentisce e prosegue con il suo personalissimo modo di fare cinema con il decimo film di quello che lei chiama il suo «Decalogo». Pornocrazia è il titolo del suo stesso racconto da cui la Breillat ha tratto il film, e che la distribuzione italiana malauguratamente utilizza per attirare spettatori. Il titolo originale della pellicola è invece Anatomie de l’enfer. (marcello moriondo)