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Ombre malesi

Leslie cerca di mantenere in piedi il proprio matrimonio nascondendo con la menzogna la vera natura dell’omicidio del proprio amante, senza però poter contrastare la vendetta della moglie dell’uomo; la rivelazione del segreto è racchiusa nei fogli di una lettera.
Italo Calvino diceva che sui testi classici si può attuare una lettura inesauribile, e rinvenire, dietro il riflesso di una luminosità apparente, l’ombra di un presente per niente rassicurante. Ombre malesi , il film più bello di William Wyler, uno dei registi più «classici» della grande Hollywood «classica», continua a dimostrarcelo. Perfetto melodramma esoticheggiante (ambientato a Singapore), crudele e più nero di tanti film noir, The Letter (tratto da un testo di William Somerset Maugham) nasconde dietro uno schema collaudato, tipico dell’epoca, non solo un malessere profondo ma anche il senso di un’ambiguità a tratti inquietante. Quella della protagonista è la cronaca della lotta contro un destino ineluttabile, nascosto dietro il volto impenetrabile – dai tratti fintamente asiatici – della vedova deuteragonista, l’affascinante Gale Sondegaard.
Ombre malesi segna un malessere storico ben diverso dalla fiducia nel futuro del cinema americano degli anni Trenta, e allo stesso tempo funge da specchio di quella crisi dell’individuo che avrebbe plasmato le migliori pellicole degli anni Quaranta. Ma è anche – se non soprattutto – il primo banco di prova per sperimentare la straordinaria complessità dei personaggi femminili di quel cinema, con Bette Davis che inaugura, con il suo inimitabile cinismo, la tradizione dei grandi women’s film che avrebbero contraddistinto la Hollywood del periodo. (michele fadda)