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Nonhosonno

Torino: un serial killer che si ispira ai romanzi di un nano torna a uccidere dopo diciassette anni di silenzio. Sulle sue tracce si alternano un poliziotto ottuso e tecnofilo, il commissario in pensione che aveva condotto le indagini in passato e il figlio della prima vittima del mostro. Gli omicidi e l’indagine si snodano fra gli interni e i cortili torinesi, svelando inconfessabili viluppi familiari e ripercorrendo temi e personaggi noti agli appassionati argentiani. Il film comincia bene, con una sequenza in treno che diverte e mette paura e con la messa in opera di un’articolata serie di dispositivi che promette sviluppi interessanti. Niente di nuovo, certo: c’è tutto l’armamentario classico del thriller, ordinato lungo la consueta serie di opposizioni (notte/giorno, femminile/maschile, inconscio/razionale) e predisposto a tendere la trappola allo spettatore che ci sta. Francamente non chiediamo di meglio, e ci rimaniamo male quando ci accorgiamo che Argento, forse troppo preso dalla foga di prendersi gioco delle nostre necessità di razionalizzazione, perde il filo del discorso e sbanda da tutte le parti. Gli omicidi che seguono, con una notevole eccezione, sembrano girati da un altro regista e il film, mal sorretto da una sceneggiatura approssimativa, perde mordente e interesse.
Ma non sono le incongruenze che fanno sghignazzare i critici a disturbarci, quanto piuttosto il contraddittorio sforzo di riportare maldestramente ordine nella vicenda. Argento è un autore di mise en scène : perché impegolarsi in tali e tante spiegazioni, goffe e artificiose? Restano alcune sequenze memorabili, come quella dell’omicidio sul tappeto, e alcuni stacchi magistrali che restituiscono uno spazio sempre incompleto e inquietante, ma nel complesso il film ci sembra l’ennesima occasione mancata. E Argento, sempre di più, un grande stilista con un piccolo progetto. (luca mosso)