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My Summer Of Love

La giovane Mona (Natalie Press) abita in un paesino dello Yorkshire, dove è arrivata un’afosa estate. Convive con al fratello Phil (Paddy Considine), un «cristiano rinato», che ha smantellato il pub che i due gestivano sotto casa per scacciare qualsiasi forma di vizio dalla sua vita. Un giorno Mona incontra Tamsin (Emily Blunt), una ricca e bella ragazza di città. Le due iniziano a frequentarsi e la loro relazione sfocia presto in un acerbo ma intenso rapporto d’amore. Ostacolate dal moralismo dei paesani e dagli sforzi di Phil, le due giovani compiono ogni sforzo per poter continuare a vivere il loro incantamento.

Tratta dall’omonimo romanzo di Helen Cross, una storia d’amore bella e delicata fra due giovani ragazze. La campagna inglese, assolata e malinconica, è il palcoscenico su cui si incrociano per caso le due adolescenti all’inizio di un’estate che si prospetta noiosa. Le due giovani sono del tutto differenti, come vuole una tradizione consunta ma sempre efficace: Mona ha il viso intenso, ma diafano e incompiuto, che annuncia una sognatrice già ferita dalla vita, mentre Tamsin appare scura e carnosa: anche lei è una sognatrice, ma cinica, sensuale e viziata. L’amalgama fra le due ragazze è riuscita e suggestiva. La componente saffica, che il marketing sbandiera con fierezza, è disinnescata nelle sue derive banalmente voyeuristiche dal senso della misura di Pawlikowski – già apprezzato regista di
Last Resort
– che restituisce le atmosfere del romanzo, senza lasciarsi tentare dalla sovraesposizione della carnalità della relazione. Si dispiega così la trama delicata della relazione fra le due ragazze: viva, contraddittoria, cangiante.

Forse l’aspetto più affascinante della pellicola è il rapporto fra gioco e vita vera, fra esperimento innocente ed esperienza feroce. Già nel titolo i due poli si richiamano: gli amori estivi sono spesso mondi a parte, momenti di iniziazione in bilico fra rito e improvvisazione. Le due ragazze si rincorrono e si perdono fra emozioni vere e messe in scena, pure con atteggiamenti diversi. Sono giovani e impreparate, ma non del tutto inesperte: il rapporto fra ciò che sanno e ciò che vorrebbero sapere e cercano di conoscere è il filo su cui cammina l’interesse della storia, che si mantiene teso per tutto il tempo. La caratterizzazione delle due psicologie è abbastanza profonda e presenta due prospettive diverse e definite all’interno di un rapporto che mostra subito una manifesta asimmetria, pure bilanciata. Tamsin guida il gioco, è più smaliziata e forte, ma ha bisogno dell’energia e della visionarietà di Mona per esprimersi: forse è lei il vero motorino senza motore dell’inizio del film. Poi le loro strade si divaricano e Pawlikowski, che ha scelto dall’inizio di focalizzare la sua attenzione su Mona, la segue fino in fondo. Verso un finale che resta una delle migliori sortite di un film delicato e riuscito, ma che offre rari picchi.

Il cast è uno degli elementi più apprezzabili, come testimonia anche la figura credibile e a tratti divertente del fratello di Mona, impersonato da Paddy Considine, a suo agio nella parte del «cristiano rinato» che cerca di ricondurre alla moralità le due ragazze. Natalie Press ed Emily Blunt sprigionano un’energia istintiva e mostrano di essersi calate bene nelle rispettive parti. La sceneggiatura è coerente e funzionale, anche se alcuni passaggi non sono risolti con particolare brillantezza.

Un adattamento che non aggiunge molto al romanzo. Pawlikowski, anzi, elimina alcuni elementi noir presenti nello scritto e si concentra sulla relazione fra le due ragazze. Un’opera intimista ma coinvolgente, che espone con efficacia le anime e con gusto i corpi. Attraverso questo setaccio il regista ha selezionato un pubblico sensibile, introspettivo, che ha voglia di riconoscere una forma particolare, eppure in qualche modo universale, dell’amore.
(stefano plateo)