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Mr. Nice Guy

Jackie, un abilissimo cuoco cinese, per salvare una fanciulla inseguita da una banda di criminali finisce nel mirino di uno spietato narcotrafficante. Ma ovviamente, nonostante le mille difficoltà e peripezie, Jackie riesce a sgominare i malvagi a colpi di prodezze acrobatiche e kung fu. Proviamo a dar retta ai detrattori: i film di Jackie Chan sono tutti uguali. Vero: basta leggere uno straccio di trama per rendersene conto. Poi, quando Jackie entra in scena, tutto cambia. Saranno anche meri canovacci le storie, ma lo spettacolo che offre il corpo di Jackie, sempre alla ricerca di nuove prove cui sottoporsi, rappresenta un baluardo-limite della concezione baziniana del cinema. Ciascun film viene trasformato da Jackie Chan in un’inchiesta sulle proprie potenzialità, in un documento sullo stato e sul divenire del proprio corpo. Si tratta di un percorso appassionante, che si è sviluppato coerentemente sin dalle primissime pellicole con Lo Wei (ma, rispettando Chan, escludiamo il pessimo
Pallottole cinesi
); cinema performativo, nel suo estremismo umanista e documentario («Filmo solo quello che riesco a fare»). Chan sembra quasi voler abolire il diaframma che separa profilmico e set per continuare a praticare (unico dopo Buster Keaton) un cinema del rischio, che scaturisce dal conflitto del corpo con lo spazio e gli oggetti: il che evidenzia la modernità del suo progetto cinematografico.
(giona a. nazzaro)