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Mona Lisa Smile

Autunno 1953. Katherine Watson ottiene l’incarico di insegnante di storia dell’arte nel campus di Wellesley, nel New England. L’impatto con il prestigioso istituto non è dei migliori. Qui si formano le future mogli e madri di famiglia della borghesia americana. Le ragazze «devono» sognare l’anello di fidanzamento e non certamente l’ammissione all’università. La carriera è una prerogativa dei loro mariti. In questo clima conformista la giovane insegnante conquisterà poco a poco la fiducia delle proprie allieve, le incoraggerà a ragionare in modo indipendente e a conquistarsi spazi di autonomia. Tra le ragazze c’è Joan, in procinto di fidanzarsi e desiderosa di fare domanda d’iscrizione alla Facoltà di Legge di Yale. Giselle Levy è invece la più disinibita della classe e intreccia relazioni con uomini maturi, tra cui il professore di italiano, Bill Dunbar e il suo psicanalista sposato. Ma sarà Betty Warren, figlia di una delle più facoltose e conservatrici famiglie del paese, a dare il maggior filo da torcere alla nuova insegnante.

Mona Lisa Smile
è stato annunciato come la versione al femminile de
L’attimo fuggente
(1989). In effetti gli ingredienti che accomunano le due pellicole sono molti. Anche qui un insegnante anticonformista tenta di sovvertire le ferree regole di un istituto scolastico e si scontra con l’immobilismo della classe docente ancorata alle tradizioni. Julia Roberts come Robin Williams. Ma
Mona Lisa Smile
non commuove come
L’attimo fuggente,
che aveva più pathos, affrontava un tema delicato come quello del suicidio e scavava molto più in profondità nei drammi dei diversi personaggi.
MLS
si mantiene invece su toni più pacati, da commedia piuttosto che da film drammatico. Per metà un inno all’indipendenza delle donne e per l’altra piccolo affresco della società americana del dopoguerra. Un mondo ancora lontano dal femminismo, in cui le ragazze che si laureavano erano pochissime e la pubblicità raffigurava la donna come una perfetta massaia, accanto al tacchino o con indosso una panciera. Danneggiata da una sceneggiatura debole, la Roberts non riesce a essere trascinante come in altre passate interpretazioni e i momenti di maggior tensione emotiva sono sottolineati dagli archi della colonna sonora più che dalle battute del copione. La sensazione complessiva è quella del già visto o sentito. L’idea di fondo era interessante ed originale, occorreva però insistere di più sulle donne, il vero motore del film. I personaggi sono invece sbiaditi, poco taglienti. La colpa non è però della mediocrità degli attori ma piuttosto di quella del racconto, troppo monocorde, troppo avaro di stimoli per lo spettatore. Nessuna scena o battuta entrerà nella storia del cinema, come invece aveva fatto la celebre «oh capitano, mio capitano» de
L’attimo fuggente.
(francesco marchetti)