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Mission Impossible 2

Un agente segreto deve recuperare un virus mortale: e per questo assolda l’ex amante dell’uomo che ha trafugato il virus. Ancora le colombe? Eh sì. E pare che John Woo se le porti da un film sperimentale gay da lui scritto e interpretato nel 1969, The Knot , riscoperto quest’anno a Hong Kong. Ci sono anche i giochini sul doppio resi popolari da Face/Off : va bene che in Mission: Impossible le maschere si sono viste sempre, ma adoperarle con tanta insistenza significa rivendicare l’autorialità («Avete visto come proseguo il discorso sulle apparenze che avevo iniziato in Face/Off? ») dove c’è solo una modesta trovatina, giocata troppe volte. Pennuti e ralenti a parte, il guaio di M:I-2 è che non c’è più pathos. E che c’è Tom Cruise. Lo stile romantico e barocco di John Woo funzionava, a Hong Kong, nel contesto di un cinema che, dai tempi di Zhang Che ( Blood Brothers : assistente alla regia, Wu Yusen), ha codificato l’intensificazione melodrammatica e la ridondanza spettacolare della messa in scena. Gli eroi versano lacrime e sangue: se hanno la faccia nobile di Ti Lung o quella espressiva e infantile di Chow Yun-fat possiamo crederci. Ma che cosa succede a questi codici, tolti dal loro contesto, e con facce come quella di Tom Cruise? Semplice: non funzionano più. Con Chow Yun-fat posso identificarmi e soffrire, anche perché so che non è invulnerabile, e in un film hongkonghese può sempre morire. Con Tom Cruise non mi identifico (così come lui non si identifica col personaggio: è Tom Cruise dall’inizio alla fine, un fighetto 38enne strapagato che cerca di dimostrare 15 anni di meno), e non soffro per lui. Anche perché so che è impossibile che muoia alla fine del film.
Woo non è uno stupido, anche se adesso va in giro a dire che girerebbe di corsa M: I-3 . E appena può la butta sul mélo. Con l’eroina che si sacrifica. Addirittura con i flashback rapidissimi e strazianti nel momenti clou. Ma rimane solo la forma, senza più anima. E a dire il vero comincia a dare segni di americanizzazione preoccupante, dopo un film complicato e coraggioso come Face/Off , che deve avere fatto impazzire più di un mangiatore di pop-corn. Prendiamo il già celebrato inseguimento in macchina/corteggiamento. Che bello, sembra un balletto. E che bisogno c’era di mettere in montaggio alternato le scene del flamenco? Non l’avevamo già capito? Delle due l’una: o prende lo spettatore per scemo, o non si fida più di quello che fa.
Fosse diretto da Stephen Hopkins, sarebbe un passabile polpettone. Ma in omaggio alla politique des auteurs, e per rispetto ai capolavori che Woo ha diretto in passato, ci vuole un po’ di severità. I primi della classe vanno sempre bacchettati. (alberto pezzotta)