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Malefemmene

Che cosa può arrivare a sopportare una donna, per amore del proprio uomo? La tesi del film Malafemmene è molto, moltissimo, forse qualsiasi cosa. Francesca (Giovanna Mezzogiorno) è un’attrice che, dal suo mondo dorato dello spettacolo, viene scaraventata improvvisamente nell’inferno di un carcere femminile. E come tutte le sue compagne di cella, anche per lei l’imputazione è l’articolo 69, cioè quello che configura la chiamata in correità da parte del proprio compagno. Dopo i primi momenti di sgomento, Francesca scopre una rete di solidarietà tra le sue nuove amiche, che difficilmente si potrebbe trovare in una condizione di libertà. Ogni figura in cui Francesca si imbatte nasconde una storia di straziante dolore, ma anche di profonda umanità. In particolare lega con Nunzia (Angela Molina) che la affascina con il romanticismo della sua storia, anche lei vittima, cosciente, di un amore troppo grande, troppo estremo, fantastico e tragico. Lo spunto del racconto è una vicenda realmente accaduta a Gioia Scola, che firma anche la sceneggiatura, ed è il primo film importante del regista Fabio Conversi. Senz’altro lodevole la scelta di non calcare eccessivamente sugli aspetti più macabri e tragici del carcere, che sono sì presenti, ma senza voler strappare a tutti i costi la lacrima allo spettatore. Ed è in qualche modo coraggiosa anche la scelta di un argomento non certo di moda. In tempi, come questi, in cui la donna cerca (e trova) sempre più una collocazione autonoma all’interno della società e una centralità sempre maggiore negli affetti, colpiscono queste storie di donne che si consacrano in maniera così totalizzante, «senza rete», al proprio uomo. La forza del film risiede anche nelle eccellenti prove di tutte le attrici e in particolare di Giovanna Mezzogiorno, i cui silenzi e sguardi sgomenti fanno da contraltare alla verbosità tipicamente meridionale delle altre detenute. (ezio genghini)