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L’ultimo bacio

Dopo i ragazzini-bene del fortunato
Come te nessuno mai
, Gabriele Muccino (che, come dicono tutti, «è bravo») scrive e filma le ansie dei trentenni loro fratelli maggiori. Cioè parla di sé, mettendo in scena dilemmi di pubblicitari e di figli di psicanalisti. È meglio mettere su famiglia o andare (con amici tutti maschi) in giro in camper e saltare dai ponti imbragati da bungee-jumping?

Nel tentativo di dipingere l’affresco di una generazione, imbottisce il film con dolly insensati e con una colonna musicale degna di miglior causa, inzuppando il tutto in una indistinta marmellata audiovisiva (basta con i «cavalli» sonori che anticipano in una scena i rumori della successiva!). Per non dire del sottotesto alla
American Beauty
; alla cui cupa – e in fondo puritana – misoginia sostituisce un molle machomammismo a metà tra Salvatores e Venditti. Peccato, perché gli unici accenti di dolore e di umanità vengono proprio dagli scatti disperati di alcune figure femminili molto sacrificate (su tutte la Giulia di Giovanna Mezzogiorno).

C’è gente che per questo film lagnoso e senile ha citato
I vitelloni
. Ma, per capirci, siamo piuttosto dalle parti dei
I laureati
di Pieraccioni, con l’iniziale commedia generazionale – piuttosto noiosa e roboante – che sfuma in un melodramma privo di senso del tragico. Perché i registi italiani non sanno girare storie d’amore, ma solo commedie all’italiana? Perché in questo film non si piange mai?
(emiliano morreale)