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Lo zio di Brooklyn

In una Palermo semideserta si muovono resti di umanità (rigorosamente maschile), ossessionati dal cibo e dal sesso, sempre più assediati dai cani. Finché arriva la fine del mondo e la resurrezione dei corpi. L’esordio più folgorante del cinema italiano degli anni Novanta. Un film antinarrativo, la prosecuzione e il capovolgimento delle «strisce» di Cinico tv ideate dai due registi. Bianco e nero (di Luca Bigazzi), non-attori, dialetto strettissimo, un senso di morte incombente e disperato. La prima mezz’ora del film è un’esperienza spazio-temporale vertiginosa, il finale poverissimo e abbagliante con i resuscitati che ballano è sublime. Sospeso tra rigore artigianale e improvvisazione jazzistica, è la coerente messa in forma di un’idea del cinema e dell’uomo tra le più atrocemente coerenti che si ricordino. A tratti esilarante, a tratti insostenibile, un film che ha diviso il pubblico e la critica, e che rappresenta un momento fondamentale nella storia del cinema italiano. (emiliano morreale)