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Lo specchio della vita

La figlia di una diva del cinema e quella della sua governante nera crescono insieme. Quest’ultima, che ha una carnagione molto chiara, si vergogna delle proprie origini e ripudia la madre. Ultimo film del maestro del melodramma americano, che nel realizzare il remake dell’omonimo film di John Stahl del 1934 firma il proprio testamento spirituale. Tutto sopra le righe, pieno di scene madri, il film intreccia i percorsi di una doppia discriminazione, razziale e di genere, sullo sfondo di quei conflitti di classe che il melodramma, perfino nella sua versione telenovela, sa porgere così bene. Il film viene realizzato quando Hollywood è al collasso, i conflitti sembrano impazziti e i generi non tengono più. Già il titolo e i titoli di testa, folli e coloratissimi, dichiarano il carattere di riflessione sul mondo di Hollywood, come molti altri crudelissimi capolavori del periodo (
Il bruto e la bella, È nata una stella, Viale del tramonto
). E la trovata geniale sta in fondo: i neri che nel film non abbiamo visto, rimossi come in tutto il cinema di Hollywood, appaiono tutti insieme, in un finale memorabile, sulle note di
Trouble of the World
cantata da Mahalia Jackson
(emiliano morreale)