L

Le tre sepolture

A volte l’amicizia è più forte della morte. Ma la vendetta lo è sempre. Nelle terre di confine fra il Texas e il Messico, Pete Perkins (Tommy Lee Jones), cowboy dei nostri tempi, decide di vendicare l’assassinio del suo migliore amico Melquiades Estrades (Julio Cesar Cedillo), trovato cadavere nel deserto. Era un immigrato irregolare, come tanti messicani che vanno a cercare lavoro e fortuna, o semplicemente migliori condizioni di vita, nell’eldorado statunitense. Pete vuole tener fede alla promessa fatta a Melquiades, accontentandone l’ultimo desiderio: essere sepolto presso il suo paese natale, nella regione di Chihuahua. Così, si mette in viaggio con la salma in compagnia dell’assassino (Barry Pepper), che tiene sotto sequestro: espierà le sue colpe attraverso la sofferenza.

Molti dicono che l’attore, il produttore, lo sceneggiatore siano i mestieri «difficili». La regia? Quella è molto più semplice, quasi una sciocchezza. Un luogo comune, certo. Ma se si pensa alle prove recentemente offerte da gente come

Clint Eastwood,

George Clooney
o

Paul Haggis,
un dubbio si insinua. Ora, anche Tommy Lee Jones si cimenta ardimentoso nel salto di ruolo, dirigendo una pellicola molto solida che poco ha a che vedere con un’opera prima.

L’attore ha spesso sostenuto, durante le molte interviste rilasciate, di aver voluto girare un film sulla «sua» terra e la «sua» gente, sul Texas in cui è nato e cresciuto, sul Messico vicino ma profondamente distante. In realtà, il centro della vicenda – che si sviluppa in modo non lineare, attraverso continui flashback e cambi di punti di vista – è la parabola sull’espiazione, il pentimento e il perdono messa in scena dai due protagonisti, «duri» che nascondono grandi debolezze, come tutti i personaggi maschili di questa pellicola: la rappresentazione del sesso, sempre malriuscito, o peggio, fonte di fallimento e frustrazione, li smaschera completamente in questo senso.

Molto bella la sceneggiatura di Gullermo Arriaga

(21 Grammi),
fatta di dialoghi pieni di cinismo, scarni ed essenziali, conditi con ironia nera in dosi non particolarmente generose. Non a caso vincitrice della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes.
Premio anche all’interpretazione di Tommy Lee Jones, aiutato dal personaggio cucito su misura per lui. E come poteva essere altrimenti?
Aspettiamo altre prove: la strada per Jones sembra in discesa, e chissà che, come è già successo all’attore – regista Eastwood, non porti addirittura all’Oscar.
(michele serra)