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Le invasioni barbariche

Rémy è un professore universitario sulla cinquantina. È gravemente malato in un ospedale di Montreal. La sua ex moglie Louise chiede allora al figlio Sébastien, brillante finanziere a Londra, di tornare a vedere il padre. Anche se i due non hanno mai avuto nulla da dirsi, se non male parole. Sébastien comunque arriva, con decisione (e con i soldi), riesce a sistemare al meglio il padre morente. E gli fa un ultimo regalo: riunisce attorno al suo letto gli amici di una vita…
Brillante, acuto, intelligente, cinico e dolcissimo, questo film del regista canadese Denys Arcand ( Il declino dell’impero americano) . La storia del riavvicinamento di un padre con un figlio, due uomini diversissimi («Mio figlio è un bigotto capitalista e ambizioso, mentre per tutta la vita io sono stato un socialista… edonista…lussurioso», dice Rémy alla suora che lo assiste), con interessi (uno intellettuale, l’altro giovane finanziere di successo che sposta le montagne con i soldi) e ideali opposti. Ma è anche la storia della morte di un uomo e di una cultura, dell’agonia del corpo e di un’epoca. Perché mentre il corpo si disfa assalito dalla malattia, il mondo contemporaneo ha già divorato tutto, sogni e ideologie. «Remy – ha spiegato il regista – è convinto che siamo entrati in un’epoca di barbarie. Crede che la civiltà occidentale, cominciata con Dante e Montaigne, stia per scomparire. L’impero americano è il dominatore assoluto del mondo. In quanto tale, dovrà costantemente respingere il flusso di attacchi barbarici. L’11 settembre è stato il primo che è riuscito a colpire al cuore l’impero. Il primo di molti a venire… Sono convinto – ha aggiunto Denys Arcand – che le nazioni siano una specie in via d’estinzione. Per le generazioni future la nozione di confine sarà quasi irrilevante. Il figlio di Remy va in quella direzione. È già là. Ci saranno da una parte cittadini americani e dall’altra estranei non residenti. Visti da Washington, i francesi, i bulgari o i giapponesi sono un’unica medesima cosa: barbari». Ma con dialoghi brillantissimi, splendidi ed efficaci primi piani, nessuna banalità e finissimo umorismo, si affrontano anche altri temi. Che sono sì canadesi, ma che in realtà appartengono a ciascuno di noi. Ecco la denuncia dello stato della malasanità nel Quebec (il regista ha assistito i genitori morti proprio nelle strutture sanitarie pubbliche canadesi), la questione dell’impiego di stupefacenti – in questo caso l’eroina – per usi terapeutici, dell’eutanasia… Impareggiabile l’allegra brigata degli amici di una vita e delle ex amanti. Struggente la scoperta – finale -dell’affetto tra Rémy e Sébastien. Il film è stato premiato per la migliore sceneggiatura e per la migliore attrice al Festival di Cannes 2003. Oscar 2004 come miglior film straniero. (d.c.i.)