L

Le forze del destino

New York, 2021: John (Joaquin Phoenix) giovane professore universitario diretto in Canada, raggiunge la moglie Elena (Claire Danes) per farle firmare le carte del divorzio. Lei è campionessa mondiale di pattinaggio artistico, ed è il perno del business miliardario della sua famiglia. Presto l’idillio col parentado viene spezzato da oscure minacce: Elena confida al marito il timore di complotti a suo danno, lui vuole vederci chiaro e rinuncia a partire. Scappano, capiscono di amarsi ancora e di non poter vivere senza l’altro, vengono ripresi. «Vi voglio bene», dice il capofamiglia, ma intanto assolda un killer per ucciderli. Con l’aiuto del fratello di lei tentano di raggiungere la natia Polonia, ma moriranno assiderati in una landa innevata…
Non è ben chiaro se Thomas Vinterberg (lo stesso di “Festen,” coautore con Lars von Trier del Dogma di cui qui ribalta i principi) abbia voluto realizzare un thriller romantico con nuance futuristiche, o un dramma sentimentale in una cornice apocalittico-fiabesca. Di certo, gli elementi surreali e simbolici sono la parte migliore del film. Il mondo in cui John ed Elena riscoprono di amarsi ricordando il loro incontro nell’infanzia (allusione a un ritorno alle origini?) è un mondo dal clima schizofrenico (la neve a luglio a New York, africani morti congelati, escursioni termiche di venti gradi in una notte sola) che si avvia verso la glaciazione; un mondo il cui il «disordine» si ripercuote sulle comuni leggi umane sovvertendole (i poveri ugandesi volano come angeli e i ricchi americani muoiono a centinaia ogni giorno per misteriosi «infarti di solitudine»); un mondo in cui contro la disgregazione di ogni ordine e senso ci si può appellare solo all’amore e alle forze del destino (cantati «dal cielo» come fa Sean Penn, il fratello di John, che in seguito a una cura sbagliata contro la paura di volare non può più fare a meno dell’aereo e passa la sua vita in volo sciorinando irritanti sproloqui sui legami fra l’uomo e il mondo).
Un film allegorico più che di trama, dunque? È lo stesso regista che risponde: «Ovviamente esiste una storia, una trama, una drammatica catena di eventi. Ma in un certo senso questo è meno importante. Mi immagino che la trama sia lì per trasmettere i nostri pensieri… Penso che “Le forze del destino” sia una fiaba, una fiaba sulla vita…». In verità, spandendo simboli a manciate si rischia di disperderli in rivoli isolati che non seguono una corrente principale. Il risultato è un’aura di millenarismo dislessico che finisce in tragedia mentre dovrebbe dare speranza e confonde solo le idee. A poco valgono le belle ricostruzioni di New York negli studios di Trollhättan, in Svezia, e le musiche di Zbigniev Preisner (prediletto di Kieslowski). (salvatore vitellino)